Uomini o macchine? Il dilemma è ormai ricorrente e sull’impatto che la robotica, e più specificatamente gli algoritmi dell’intelligenza artificiale, può esercitare sul mondo del lavoro si è espressa anche la seconda edizione dello studio “AI at Work” condotto da Oracle e dalla società di ricerca specializzata Future Workplace su un panel di 8.370 fra dipendenti, manager e responsabili delle risorse umane in 10 Paesi. Metodologia della ricerca. Studio che conferma, in buona sostanza, come l’AI abbia cambiato il rapporto tra persone e tecnologia e come l’AI stia ridisegnando il ruolo che il dipartimento Hr e i manager devono svolgere nell’attrarre, trattenere e crescere i talenti. “La nuova ricerca – ha sottolineato Dan Schawbel, Research Director di Future Workplace – dimostra che l’intelligenza artificiale sta ridefinendo non solo la relazione tra lavoratore e manager, ma anche il ruolo di un manager all’interno di un ambiente di lavoro basato sull’AI. I base ai risultati, possiamo dire che i manager manterranno un ruolo rilevante anche in futuro se si concentreranno sul lato umano e sull’utilizzo delle loro competenze trasversali, lasciando quelle tecniche e le attività di routine ai robot”.
L’AI in uso da un lavoratore su due. In antitesi alle paure legate ai possibili negativi effetti esercitati sull’occupazione, il campione oggetto di indagine segnala in modo generalizzato un aumento dell’adozione dell’intelligenza artificiale sul posto di lavoro e molti degli intervistati la stanno accogliendo con positività e ottimismo. Più nel dettaglio, il 50% dei lavoratori utilizza attualmente una qualche forma di AI nello svolgimento del proprio impiego (erano il 32% l’anno passato) e a distinguersi sono in modo particolare gli addetti cinesi e indiani che vantano tassi di adozione della tecnologia (rispettivamente del 77% 78%) più che doppi rispetto a quelli di Francia (32%) e Giappone (29%). La maggioranza (il 65% per la precisione) dei lavoratori, nel complesso, di dice ottimista e soddisfatta nell’avere colleghi robot mentre quasi un quarto riferisce di avere un rapporto molto positivo e gratificante con le soluzioni di intelligenza artificiale sul posto di lavoro. Curioso il fatto che una delle culle dell’AI, e cioè gli Stati Uniti, siano piuttosto indietro nella classifica dei lavoratori più entusiasti, in cui svettano India e Cina, seguite da Emirati Arabi Uniti, Singapore, Brasile, Australia/Nuova Zelanda, Giappone e per l’appunto gli Usa.
Più fiducia verso le macchine. La crescente adozione dell’intelligenza artificiale ha un diretto effetto sul ruolo tradizionale dei team HR e dell’Hr manager stesso. Con conseguenze anche sorprendenti. Il 64% delle persone, ci dice in proposito lo studio, si fiderebbe infatti più di un robot che del proprio manager e la metà del campione di lavoratori intervistati si è rivolta a un robot invece che al proprio responsabile per una consulenza. A dimostrarsi più fiduciosi verso la tecnologia sono ancora una volta gli addetti delle aziende di India (nell’89% dei casi) e Cina (nell’88%), seguiti da Singapore (83%), Brasile (78%), Giappone (76%), Emirati Arabi Uniti (74%), Australia/Nuova Zelanda (58%), Stati Uniti (57%), Regno Unito (54%) e Francia (56%). Alla domanda su quale compito i robot possono fare meglio dei loro manager, gli intervistati hanno elencato nell’ordine la capacità di fornire informazioni imparziali (26%), di rispettare i programmi di lavoro (34%), di risolvere i problemi (29%) e di gestire i budget (26%). Per contro, ai manager in carne ed ossa viene riconosciuta maggiore affidabilità nel comprendere dei loro sentimenti (voce citata nel 45% dei casi), gestirne la formazione (33%) e nel creare una cultura del lavoro (29%).
Un percorso a lungo tempo per rimanere competitivi. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale sul lavoro è solo a uno stato iniziale e per sfruttarne le potenzialità le aziende devono concentrarsi sulla sua semplificazione e sulla sua sicurezza sul posto di lavoro. Lo studio, su questo fronte, parla chiaro perché secondo gli esperti il rischio di perdere terreno è consistente. Il 76% dei lavoratori (e l’81% dei responsabili delle risorse umane) trova infatti difficile tenere il passo con i cambiamenti tecnologici sul posto di lavoro e uno su tre, per interagire in modo semplice con l’intelligenza artificiale, richiede una migliore interfaccia utente una formazione ad hoc sulle migliori procedure e un’esperienza personalizzata in base al loro comportamento. Sicurezza e privacy, in un terzo dei casi, sono invece le principali preoccupazioni che impediscono ai lavoratori di utilizzare l’AI a scopi professionali e tale problema è sentito soprattutto dai nativi digitali della Generazione Z e dai Millennials. Cosa fare, lato azienda, per evitare gli ostacoli di cui sopra? Il consiglio che arriva da Emily He, Senior Vice Presidente dello Human Capital Management Cloud Business Group di Oracle, si può sintetizzare così: “la relazione tra gli esseri umani e le macchine è in fase di ridefinizione e non esiste un approccio unico per gestire con successo questo cambiamento. Le aziende, in ogni caso, devono collaborare con il dipartimento Hr per personalizzare l’approccio all’implementazione dell’AI al lavoro”.