In un contesto caratterizzato da una forte competizione nel mercato del lavoro, il 53% delle imprese prevede aumenti di stipendi – non solo per via dell’inflazione. Negli ultimi 18 mesi molte aziende hanno introdotto per la prima volta nei loro pacchetti di Compensation & Benefits la flessibilità lavorativa, sia in termini di sede che di orario (41% e 32%), la formazione aziendale (31%), i buoni spesa (31%) e la retribuzione variabile/bonus di risultato (25%).
Sul fronte della ricerca e dell’attrazione, oltre ad una generale mancanza di candidature (38%) e di competenze soft e tecnico-specialistiche (25% per entrambe le categorie), sono le aspettative salariali e di benefit (44%), seguite da quelle di carriera e work-life balance (31%), ad essere considerate dalle organizzazioni le sfide più critiche.
In merito alla fidelizzazione, l’elevata percentuale di risposte su equilibrio tra lavoro e vita privata (63%), revisione delle politiche retributive (56%)e wellbeing (54%),evidenzia la volontà di mettere le persone al centro delle politiche aziendali. Da segnalare che il 43% del campione non sa se verrà implementata una strategia di fidelizzazione.
La formazione emerge come punto di incontro, sia per superare la carenza di competenze interne sia come leva di retention. Infatti, tra le misure già introdotte, il miglioramento dei programmi di formazione e sviluppo si colloca al primo posto (53%); offrendo opportunità di sviluppo si creano così ambienti che favoriscono il coinvolgimento e i legami emotivi, contribuendo a mantenere i lavoratori motivati e con elevate skill. Inoltre, essendo l’identificazione e lo sviluppo del potenziale dei dipendenti uno degli obiettivi primari per le organizzazioni (63%), per 8 aziende su 10 la formazione svolge un ruolo importante nella strategia complessiva di Talent Retention.
Sono questi alcuni dei dati che emergono dalla Survey sul Talent Management di Cegos Italia, parte di Gruppo Cegos, tra i principali player nel Learning & Development. La ricerca ha coinvolto 200 rispondenti – di cui il 58% appartenente al mondo HR, il 37% operante nelle PMI (101-500 dip.) e il 21% proveniente da grandi aziende (501-2000 dip.).
“La competitività oggi si gioca sull’investimento nel capitale umano e il Talent Management richiede di adottare una prospettiva innovativa, ampia e multidimensionale, al fine di trovare il giusto balance tra le varie esigenze ed aspirazioni delle persone, senza dimenticare che una strategia di fidelizzazione e retention è fondamentale per ridurre il turn over e preservare esperienza e conoscenza – commenta Emanuele Castellani, CEO di Cegos Italia & Cegos APAC ed Executive Board Member di Gruppo Cegos –. Ciò che è emerso da questa ricerca è la volontà di mettere il benessere e la soddisfazione delle persone al centro delle politiche e della crescita aziendale. Investire nelle risorse umane, anche quelle interne valorizzando la formazione e promuovendo un equilibrio tra vita lavorativa e personale, ormai non è più un’opzione ma una leva strategica in grado di migliorare l’engagement e l’efficacia professionale. Le aziende che sapranno affrontare questa trasformazione si distingueranno nel panorama globale, garantendosi non solo prosperità per il proprio business, ma anche un vantaggio competitivo sostenibile”.
Allerta carenza di professionisti e competenze
Operations (42%), IT (31%) e Sales (27%) sono le aree di specializzazione più a rischio carenza di candidati e competenze; la prima per la richiesta di specializzazione e di ottimizzazione dei processi, l’ambito IT per la crescente dipendenza dalle tecnologie digitali innovative e la funzione sales a causa dell’elevato turnover e della domanda sempre più forte di competenze specifiche. I livelli di seniority in cui ci saranno le maggiori criticità sembrano essere i Professional (34%) – il nucleo operativo delle aziende – e i Middle Manager (22%), con possibili impatti nel primo caso sulla produttività e nel secondo su performance ed efficienza organizzativa.
Al lavoro per implementare strategie di fidelizzazione dei talenti
Tra le misure già adottate, il potenziamento dei programmi di formazione e sviluppo (53%) si posiziona al primo posto. A seguire si annoverano la riduzione del vincolo di presenza in ufficio (49%) e l’incremento delle iniziative di welfare (46%). Tra le aree da sviluppare per sostenere strategie di Talent Retention, le Politiche di Diversity & Inclusion (27%), la CSR (14%) e l’attenzione al cambiamento climatico (9%) appaiono elementi maggiormente utili più nella fase di attraction che di retention.
Smart working a perimetro variabile
Rispetto alla leva della flessibilità, interessanti gli spaccati e le differenze su smart working e settimana corta. Mentre le piccole imprese (<50 dipendenti) sembrano meno propense al lavoro da remoto (il 38% va in sede ogni giorno), nelle grandi organizzazioni (oltre 2000 dipendenti) solo il 7% ha l’obbligo di recarsi quotidianamente in ufficio. Tuttavia, il 53% di quest’ultime mostra una tendenza a richiedere la presenza in ufficio almeno 9 giorni al mese. Sono le PMI (51-100 dipendenti) a distribuirsi uniformemente su tutte le possibili opzioni di flessibilità, con un 42% che può essere presente meno di 9 giorni in ufficio.
Perplessità sulla settimana corta
Se da un lato lo smart working ha guadagnato terreno dopo il lockdown, dall’altro l’adozione di una settimana lavorativa corta appare incerta, con il 72% dei rispondenti che non la prende in considerazione o la ritiene improbabile anche a livello di progetto pilota o per alcuni ruoli. Solo un 12% si mostra possibilista per un’implementazione nei prossimi 12 mesi. Una percentuale che, seppur bassa, appare incoraggiante considerata l’eterogeneità del tessuto produttivo italiano. Da riscontare che l’interesse verso una settimana lavorativa di quattro giorni aumenta con il crescere della dimensione aziendale. Per le organizzazioni tra 501 e 2000 dipendenti, la propensione a valutare tale opzione aumenta, ottenendo il 19% di consensi.
Il fattore formazione
Il 68% del campioneafferma che la formazione sia molto rilevante nel contesto del Talent Management – anche per il miglioramento della retention stessa (35%) -, per l’adattamento alle nuove esigenze di mercato (33%) e lo sviluppo delle competenze esistenti (27%), nonché per la promozione di una cultura forte e condivisa (32%). Il 61% degli intervistati indica, infatti, un impatto positivo o molto positivo della stessa sul trattenere le risorse. L’apprendimento in presenza si conferma la modalità più efficace nel supportare il Talent Management (56%), seguita da mentoring e coaching al 46% e dai percorsi integrati che richiedono un approccio olistico tramite un mix di modalità e tool (39%). Sebbene tra le tendenze spicchino la formazione personalizzata (64%) e l’apprendimento continuo (56%), per più di un rispondente su due (54%) è il tempo da dedicare all’apprendimento rispetto alle esigenze operative dell’azienda la sfida principale nell’implementazione di programmi formativi coerenti con le dinamiche del mercato del lavoro.
“La formazione si conferma un investimento diretto e fondamentale per garantire una maggiore efficienza e migliorare la capacità di innovazione e la produttività dei team – prosegue Emanuele Castellani –.Nonostante una discrepanza tra ciò che le aziende vorrebbero fare e ciò che effettivamente riescono a fare, è importante continuare a valutare e adattare i programmi formativi per massimizzare questo impatto nel lungo periodo, raggiungendo una corretta gestione dei carichi di lavoro – a valle dei momenti di training -, così da consentire il giusto tempo da dedicare a questa attività. Perché la formazione supporta la crescita professionale delle persone, alimentando la soddisfazione, l’impegno, la motivazione e l’ingaggio dei dipendenti”.