Chi non ha mai visto sui social uno dei tanti video che titolano più o meno “se Steve Jobs fosse nato in Italia” dove tra il serio e il faceto si mette in luce come la burocrazia, le difficoltà di accesso al credito e tanti altri piccoli e grandi problemi italiani avrebbero impedito al visionario imprenditore di Cupertino di fondare Apple nel belpaese. Secondo la classifica del 2019 dei migliori paesi in cui essere un imprenditore stilata ogni anno dalla Wharton University in collaborazione con la società di ricerca Y&R che prende in esame 80 paesi (rappresentanti il 95% del PIL globale) l’Italia si classifica solamente 22esima perdendo anche una posizione rispetto al 2018.
Quali sono i paesi dove è più facile fare impresa? Sul trono siede il Giappone grazie alla sua eccellenza tecnologica e formativa. Risultato che arriva a danni della Germania che si deve “accontentare” della medaglia d’argento dopo tre anni consecutivi al primo posto grazie ad infrastrutture, tecnologie avanzate, istruzione, chiarezza delle leggi e accesso al capitale semplificato. In terza posizione come nel 2018 ci sono gli USA che fanno leva, tra l’altro, sulla facilità di accesso ai capitali e sulla possibilità di fare network. Ai piedi del podio si classifica la Svizzera in salita di un gradino grazie all’elevata ricchezza pro capite, alle tasse basse ed ancora alla facilità di accesso al mercato dei capitali. Perde una posizione invece il Regno Unito (in attesa di capire cosa davvero succederà dopo Brexit – e se succederà) che chiude la top 5. Seguono poi in ordine: Canada e Svezia che si scambiano il posto rispetto all’anno precedente, Sud Corea e Australia che fanno entrambe un balzo di ben 4 posizioni rispetto al 2018 e infine Singapore decima che scende di due gradini.
Cosa manca all’Italia? Parlando di Start up le sottocategorie in cui andiamo peggio sono le “conoscenze tecnologiche” dove totalizziamo solo 1,9 su 10, la “trasparenza” in cui ci fermiamo a 2,1 (sempre su un totale di 10) ma anche voci come “imprenditorialità” e “innovazione” che un tempo sono state il fiore all’occhiello delle imprese italiane del boom economico e che oggi purtroppo non superano i 3/10 (rispettivamente 2,6 e 2,8). Ci salvano invece le buone connessioni con il resto del mondo e un buon livello di istruzione.
Qualche considerazione: Ancor più che la posizione occupata dall’Italia in classifica, è sui singoli punteggi nelle sottocategorie che bisogna soffermarsi. Soprattutto se si pensa a due aspetti: Anzitutto che le aree di forza sono poco difendibili poiché’ le connessioni aumentano ovunque a vista d’occhio e la scuola italiana vive da anni una fase involutiva e pertanto sta beneficiando ancora dell’inerzia di un passato glorioso ma che deve velocemente essere riformato e rinforzato; in secondo luogo considerando che le aree di maggior debolezza sono per lo più di tipo culturale e pertanto per essere migliorate richiedono periodi di tempo più lunghi. Fa inoltre specie vedere mortificati alcuni dei fattori su cui in passato l’Italia può dire con cognizione di essere stata un’eccellenza mondiale.
Meglio infine non addentrarsi nella classifica, più generale, relativa all’apertura del paese per il business (perciò non soltanto relativamente alle start up) dove l’Italia non va oltre il 46imo posto piazzandosi subito dopo il Marocco e ben sotto paesi come la Repubblica dominicana, il Guatemala e l’Ecuador poiché’ non totalizza neanche 2 punti su dieci in nessuna delle sottocategorie (Costo del lavoro, Corruzione, Tasse, Trasparenza e Burocrazia).
Per chiudere con una nota positiva, anche se questa volta è più difficile del solito, non so se Steve Jobs riuscirebbe ad aver successo se fosse un 21enne come lo era quando fondò la Apple ma con un passaporto italiano anziché’ Americano. So però che nonostante tutte le difficoltà tantissimi imprenditori riescono ogni giorno a fare impresa in Italia ed aver successo e tutte queste persone meriterebbero non una ma almeno due medaglie d’oro.