“E’ giusto che Taranto contribuisca al Pil nazionale, ma non solo con il siderurgico, può farlo anche con altri investimenti che guardino al futuro. È una bella città di mare di cui si parla solo per l’ex Ilva, ma ha, per esempio, una lunga tradizione nell’attività di mitilicoltura che non può essere dimenticata”.
Parole di Barbara Lezzi, ministro del Sud. Ricapitolando, il ministro per la coesione territoriale del mezzogiorno ha proposto l’accantonamento della più grande acciaieria d’Europa – che contribuisce all’1,4% del Pil nazionale, fornendo lavoro a quasi 15mila operai – per incentivare la mitilicoltura: l’allevamento delle cozze. Seriamente, un ministro – dalle indubbie competenze, essendo nata a Lecce – e non nuovo a illuminanti interventi di politica economica – come quando asserì l’anno scorso che il Pil cresce d’estate grazie ai condizionatori – ha proposto molluschi – per altro in una città dalle note problematiche ambientali, sia a livello aereo che acquifero, come Taranto – in alternativa all’Ilva.
Foodorizzazione. Senza nulla togliere alle cozze tarantine, il vero problema sta nella serenità con cui un membro del governo rilascia dichiarazioni che voltano le spalle al mondo del lavoro. In questo anno e mezzo, una componente decisiva del governo del cambiamento non si è limitata alle dichiarazioni. In un commento sul Corriere della Sera, Dario Di Vico ha descritto come nella cultura politica di Luigi Di Maio si possa riscontrare “un pregiudizio di fondo nei confronti dell’impresa e della libera iniziativa”. Il giornalista ha definito questo sentimento del ministro per lo sviluppo economico “foodorizzazione”. Dopo le “prime e inconcludenti riunioni ministeriali sul tema dei rider, i manager del gruppo tedesco Foodora hanno venduto le loro attività e se ne sono andati dall’Italia”.
Di Maio contro tutti. La volontà di “foodorizzare” il sistema delle imprese, si è recentemente abbattuta su ArcelorMittal, la multinazionale franco-indiana che si sta impegnando a bonificare lo stabilimento Ilva di Taranto. Si è arrivati all’ultimatum del gruppo, che minaccia di abbandonare il paese il 6 settembre. Nelle stesse ore, il ministro per lo sviluppo economico ha affermato che il gruppo sia “decotto”, causando un crollo del titolo di un’azienda nazionale, in barba al sistema finanziario e delle sue più elementari regole di trasparenza.
Il sentimento anti-industriale di un movimento che vorrebbe costruire un parco giochi al posto della più grande acciaieria d’Europa è paradossale. Mentre la nostra economia è alla frutta, la politica propone le cozze.