La questione del reddito di cittadinanza o reddito minimo garantito tiene banco da qualche settimana. Di che si tratta? Il Movimento 5 Stelle ha proposto un reddito “sociale” di 600 euro al mese per tutte le persone in difficoltà: disoccupati senza indennità, pensionati sociali e persone al di sotto della soglia di povertà.
Le reazioni, in vario modo critiche sull’iniziativa grilina, sono state di due tipi: semantica e finanziaria.
Veniamo alla prima questione. Molti hanno accusato Grillo di aver confuso il reddito di cittadinanza con il reddito minimo garantito: in sostanza ha proposto il primo ma intendeva il secondo. Il reddito di cittadinanza, infatti, è una forma di sostegno economico riconosciuto a tutti indistintamente, in quanto cittadini di uno stato e a prescindere dalla loro condizione economica e sociale. Lo prenderebbe sia il disoccupato che il manager con stipendio a molti zeri. Una follia concettuale, a mio modesto pare. Di paesi in cui è previsto il reddito di cittadinanza universale ce ne sono pochissimi, forse solo due. Il perché è facilmente intuibile. La sostanza della proposta di Grillo, però, non è questa.
Il reddito minimo garantito è la vera questione aperta. In questo caso, si tratta di un contributo economico riconosciuto a coloro che si trovano in stato di difficoltà e senza reddito: pensiamo ai disoccupati di lunga durata, alle famiglie sotto la soglia di povertà, a chi percepisce una pensione da fame, e via dicendo. Condizione in cui chiunque, sul piano teorico, potrebbe venire a trovarsi a seguito della perdita del lavoro, sia esso dipendente o autonomo. Il reddito minimo garantito è un principio di dignità sociale di grande valore che in situazione di vuoto reddituale, offre un minimo di sostegno alle persone. Ovviamente, se concepito e applicato in una logica attiva e di ricollocazione al lavoro della persona e non in termini puramente assistenziali. Da notare che questa forma di sostegno al reddito è presente, in varie modalità, in tutti i pesi d’Europa tranne Italia e Grecia.
Risolta la questione lessicale, rimane quella finanziaria: dove troviamo i soldi? Nella proposta avanzata dal Movimento 5 Stelle si quantifica in 19 miliardi le risorse necessarie per finanziare l’istituzione del reddito minimo garantito, da recuperare attraverso una serie di tagli alla spesa superflua e lotta ai tanti privilegi. Sulla sostenibilità economica in molti si sono sollevati contro l’accuratezza dei calcoli fatti dai grillini. Spesso, però, ho la sensazione che la retorica dei soldi che non ci sarebbero, serve a coprire l’inamovibilità di assurdi privilegi che hanno preso in ostaggio il bilancio statale. Abbiamo un elenco infinito di costi e sprechi in nome del popolo italiano che se combattuti realmente ci farebbero trovare le risorse per ripartire. La questione è tutta qui. La discriminante è tra chi vuole ripulire i conti e chi vuole tenerli sporchi.
Merito al Movimento 5 Stelle, allora, di aver acceso i riflettori sulla questione. Perché non l’hanno fatto altre forze politiche? Perchè sono responsabili e non demagogiche? Il grande Principe De Curtis, in arte Totò, risponderebbe così: “Ma mi faccia il piacere!” Nel merito la proposta, in parte discutibile, si può certamente migliorare e calibrare, ma le reazioni partigiane, isteriche o puntigliose, in questo momento sono fuori luogo. Introdurre un reddito minimo garantito in Italia è oggi una priorità che devono fare propria tutte le forze politiche in nome del primato dell’interesse generale.
Usciamo almeno per po dalla sindrome dei guelfi e ghibellini. Non possiamo più permettercelo.