Non sono un entusiasta del “renzismo”. Vedo poche luci e molte ombre, ad oggi, nell’azione politica del Governo Renzi in tema di lavoro ed economia. Tuttavia, questo non m’impedisce di valutare i singoli provvedimenti con la dovuta obiettività. La decisione di bloccare l’aumento degli stipendi degli statali la considero giusta e utile per quattro ragioni, a parte un’eccezione.
Primo. Il mercato del lavoro di oggi è caratterizzato da un dato di fondo: l’instabilità e la flessibilità del lavoro. Questo dato vale per tutti i lavoratori tranne che per i dipendenti del pubblico impiego. Si tratta, di fatto, di un privilegio di cui godono in modo esclusivo solo i dipendenti dello Stato. Ebbene, a fronte di questo fondamentale “privilegio esclusivo” è lecito e giusto chiedere loro qualche sacrificio in una situazione di difficoltà generalizzata? Evidentemente sì.
Secondo. Al privilegio citato si aggiunge una condizione remunerativa degli statali superiore, seppur di poco, a quella dei dipendenti privati. “Nel 2013 la retribuzione contrattuale media pro-capite per impiegati e quadri pubblici era di 27.527 euro lordi contro i 27.044 euro nel privato”, come riportato dal Corriere delle Sera. Come si vede, nel pubblico impiego i livelli salariarli permangono ancora superiori al privato.
Terzo. Il risparmio di circa 2,1 miliardi di euro scaturito dal blocco degli aumenti agli statali è finalizzato al finanziamento del bonus Irpef di 80 euro mensili per i redditi medio-bassi, tra cui rientrano anche molti statali. Si tratta, quindi, di un utilizzo redistributivo di risorse verso fasce sociali in difficoltà. Si può discutere o meno la bontà dello strumento degli 80 euro, ma la finalità è certamente condivisibile.
Quarto. Voglio ricordare che in moltissime aziende private pur di salvare il posto di lavoro si sono realizzati accordi che hanno decurtato i salari e, in alcuni casi più estremi, sono state “regalate” da parte dei dipendenti ore di lavoro gratuito alle aziende nel comune interesse. Per non parlare, poi, delle centinaia di migliaia di lavoratori in cassa integrazione. Un’eventualità che nel pubblico impiego non è nemmeno concepibile e che prefigura un altro privilegio rispetto ai dipendenti del privato.
C’è, però, un’eccezione: le forze dell’ordine. Le nostre forze di polizia insieme ai vigili del fuoco rappresentano una specificità che va riconosciuta e tutelata. Chi rischia quotidianamente la vita per garantire la sicurezza dei cittadini e dello Stato non può essere mortificato in questo modo. Per loro va ripristinato subito, a partire dalla prossima Legge di Stabilità, lo sblocco degli aumenti riconoscendone il ruolo. Il fatto che per la prima volta nella storia repubblicana i sindacati di categoria abbiano minacciato un atto illegale per le forze di polizia come lo sciopero, deve essere intrepretato come un fatto di esasperazione estrema e non come una sfida al governo. La minaccia di sciopero non centra nulla con una presunta “rappresaglia” sindacale contro il dimezzamento dei permessi e degli stacchi sindacali nel pubblico impiego. Dietro c’è un malessere vero e profondo che si è sedimentando in anni di frustrazioni. Non possiamo più permetterci di giocare con il fuoco.
Male ha fatto il premier Renzi a reagire in modo stizzito “minacciando” l’apertura di un capitolo dedicato alla riforma delle forze di polizia che preveda anche un loro “dimagrimento”. Questione che non sottovaluto ma che va affrontata a fronte di un’esigenza preesistente e non per “lesa maestà”.