Ritorno al passato. Parafrasando il titolo della fortunata saga cinematografica degli anni ’80 interpretata da uno strepitoso Michael J. Fox, sembra che il nostro futuro sia dietro le spalle. Le nuove generazioni si trovano a ripercorre le orme dei nonni e dei padri che per cercare e trovare lavoro erano costretti a guardare oltre confine.
Adesso tocca noi. Sembra che il 51% dei giovani sotto i 40 anni sia pronto a lasciare l’Italia, secondo una ricerca della Coldiretti. E la cosa più curiosa è, che tra coloro che sono già con le valigie in mano, non ci sono solo i disoccupati, ma anche gli studenti, circa il 60%, e chi un lavoro ce l’ha già, il 47%. Segno, che la sfiducia è più profonda e va oltre anche le reali condizioni del nostro mercato del lavoro. Percepiamo una situazione peggiore di quella che è.
Sono 4,3 milioni gli italiani emigrati all’estero e solo quest’anno hanno varcato il confine per ragioni di lavoro 132 mila persone, più 3,1% rispetto al 2012 e più 5,5% al 2011, secondo il Rapporto Italiani nel Mondo della fondazione Migrantes. Per non parlare del “brain drain”, ossia la fuga di cervelli: sono 300 mila i laureati che vivono all’estero e 3mila gli under 40 che espatriano ogni anno e non tornano indietro.
Possiamo far appello alla retorica “nazionalista”, per cercare di arginare il fenomeno, ma quando la tasca è vuota non c’è retorica che tenga e ogni parola è vana. A questo punto possiamo fare una cosa sola, nell’attesa e nella speranza che l’Italia torni meta di lavoro concreta e ambita: aiutate i giovani a trovare lavoro all’estero e non lasciarli abbandonati a se stessi. E poi, la mobilità europea non era uno degli obiettivi positivi che la costruzione dell’Unione dell’Europa si era posta?
Ecco la proposta. Non dobbiamo creare nulla di nuovo ma potenziare quello che già esiste. Per l’internazionalizzazione delle imprese italiane c’è l’ICE, l’Istituto per il Commercio con l’estero presente pressoché ovunque nel mondo. Ebbene, trasformiamo l’ICE in ICLE, ossia in Istituto per il commercio e il lavoro estero. Potenziamo la struttura con funzionari e sevizi specifici per sostenere chi cerca lavoro in un paese straniero, sia in termini di accesso agli annunci di lavoro, che di sostegno in loco per gli aspetti burocratici e logistici, come trovare un alloggio, oltre ad informazioni più generali. A supporto si possono coinvolgere anche i tanti uffici dei Patronati italiani presenti in molti paesi esteri e tipici dell’emigrazione italiana storica.
Certo, l’idea è da affinare, tuttavia, piuttosto che spendere inutilmente risorse pubbliche in misure palliative che non creano nessun posto di lavoro, meglio sostenere la ricerca di lavoro all’estero. O no?
2 commenti
la rete di supporto esiste già e si chiama Eures ma occorrerebbe cambiare soprattutto il sistema scolastico ed universitario per preparare i nostri giovani a competere sul mercato del lavoro estero
Il progetto Eures è certamente un’iniziativa positiva, e da potenziare a mio avviso, per aiutare i giovani e meno giovani nella mobilità europea. Sul portale Eures è possibile cercare molte offerte di lavoro in Europa e spesso ce ne siamo occupati. Tuttavia, esiste un’esigenza di mobilità che va oltre i confini europei (Cina, Americhe, Australia, ecc.) e per queste esigenze dovremmo avere una struttura presente ovunque. Per questo penso ad un potenziamento delle attività dell’Ice che sia punto di coordinamento di una rete di strutture attivabili allo scopo. Una sorta di porta d’ingresso unica, a mio avviso, che facilita la ricerca e utile anche per la mobilità in Europa.