Non è un paese per giovani. Quello dei fratelli Cohen è ormai diventato un film che ha segnato una generazione, non tanto per la trama quanto per il titolo. “Non è un paese per vecchi” viene ormai sistematicamente ribaltato dall’uscita di rapporti che fotografano la situazione economica e sociale della nostra – è il caso di dirlo – vecchia cara Italia. Gli indicatori demografici Istat di questi giorni mostrano un paese sempre più spopolato – nell’ultimo anno in termini di popolazione abbiamo perso una città delle dimensioni di Trento, Pescara, Siracusa – più anziano – aumentano l’aspettativa e la media della vita, ma crolla il “ricambio naturale” – e soprattutto abbandonato: 164mila nostri connazionali si sono cancellati dal registro anagrafico nel 2019. Sono soprattutto cittadini italiani, delle fasce d’età più giovani.
Loro ci provano. Questa loro fuga all’estero non è che una reazione a una politica nazionale che si limita a lanciare slogan, salvo poi fare decisamente poco di concreto per loro. Fortunatamente negli anni questo problema è stato preso in carico da istituzioni alternative e multilaterali. L’Unione europea ha lanciato nel 2010 Strategia Europa 2020, un piano decennale con cinque ambiziosi obiettivi in materia di occupazione, innovazione, clima, istruzione e integrazione sociale. Ogni Stato membro ha declinato negli anni per ciascuno di questi ambiti, i propri obiettivi nazionali andando a delineare precisi interventi a livello nazionale che, assieme a quelli continentali, andassero a consolidare la strategia nel suo complesso.
Garanzia giovani. Sono stati irrorati fondi per ridurre i tassi di abbandono scolastico precoce sotto il 10%, provando di contro ad innalzare fino al 40% dei 30-34enni con un’istruzione universitaria. In questa direzione l’Italia, come molti altri Paesi, ha avviato un percorso specifico di misure a favore degli under 30 denominate, Garanzia Giovani. Il nostro piano nazionali è oggetto di un’attività di monitoraggio e valutazione dell’attuazione degli interventi, finalizzati a documentare il numero e le caratteristiche dei destinatari raggiunti, l’avanzamento della spesa e gli effetti delle misure sulla situazione occupazionale dei beneficiari, e a individuare eventuali azioni correttive.
Risultati da incoraggiare. L’Anpal, Associazione Nazionale Politiche Attive del Lavoro, con un monitoraggio di qualche giorno fa, ci mostra lo stato dell’arte e l’efficacia di tali misure nel nostro paese. A dicembre 2019, sono risultati essere oltre 1,5 milioni i Neet (giovani che non studiano e non lavorano) registrati al programma Garanzia Giovani, con un aumento di 12 mila rispetto al mese precedente. Quasi tre su quattro sono stati presi in carico dai Servizi per l’impiego. Col 60% di questi giovani si è riusciti ad avviare un percorso: di tirocinio extra-curriculare nel 56,9% dei casi o di incentivi occupazionali (25,6%) ed alla formazione (13,3%). Di 676mila giovani che hanno completato un percorso di politica attiva sono ad oggi circa 371 mila gli occupati (54,9%). I dati, insomma, sembrano essere abbastanza incoraggianti tanto da poter dire che, almeno in questo caso, l’Europa sia riuscita a incidere positivamente nella nostra vita quotidiana. Non possiamo però limitarci a tirare un sospiro di sollievo, dobbiamo incoraggiare queste best practice di politiche attive del lavoro. Dobbiamo estendere sempre più i progetti come Garanzia Giovani con cui coinvolgere i nostri Neet.