Il gattopardo al lavoro. Ci risiamo, cambiano i governi – non il premier ma soltanto le sfumature della maggioranza, da gialloverde a giallorossa – ma non cambia l’impostazione che viene data a tematiche decisive per il mondo del lavoro. I contraenti del nuovo patto stanno discutendo per sommi – quasi sommari – capi il “pacchetto impresa-lavoro”. A margine della serrata contrattazione sulla sempiterna pratica dello spoils system, sembrano essersi concessi un ritaglietto di tempo per parlare delle linee programmatiche del futuro del mondo del lavoro. Con risultati gattopardiani. Dopo aver parlato di “discontinuità” e “cambiamento” ripropongono – in maniera sbrigativa, discordante e miope – gli stessi temi a cui da tempo la politica non è in grado di venire a capo. Su tutti, l’Industria 4.0
C’è una difficoltà di fondo nel muoverci nel nuovo scenario dell’industria 4.0: esiste un nuovo mercato del lavoro, esistono nuove professionalità e competenze. Di conseguenza, il quadro normativo di riferimento deve adeguarsi al cambiamento in atto nel sistema Paese. Il nostro legislatore è ancora lento rispetto alla velocità del cambiamento in atto. È il patto sociale, dunque, che va cambiato. Le tecnologie e l’industria 4.0 portano un cambiamento straordinario che dal punto di vista legislativo, però, non è ancora stato colto in pieno.
Parlando di industria 4.0 ed economy on demand abbiamo un paradigma che viene da lontano, quello del diritto. A cosa serve il diritto? A regolamentare i fatti quotidiani. In assenza di una adeguata regolamentazione abbiamo due risultati: ciò che non è regolamentato è illecito, quindi, non può trovare applicazione nella realtà. Nonostante ci siano delle forti congiunture economiche e razionali, non abbiamo un ordinamento che stia seguendo le evoluzioni rapidissime della tecnologia, che va a impattare sia sull’organizzazione delle imprese e del lavoro che sul sistema sociale del Paese. In questo contesto, il legislatore deve accelerare per riuscire a governare il momento. In assenza di un governo normativo abbiamo il caos.
Anche sul salario minimo le posizioni restano distanti; e non a caso la formulazione nel documento programmatico è rimasta solo un titolo. Per i grillini la proposta è quella di fissare un minimo orario per legge a 9 euro lordi, validi per tutti; il Pd invece preme per salvaguardare i Ccnl (che verrebbero spiazzati da un secco intervento legislativo). Nel documento manca qualsiasi riferimento agli incentivi alla contrattazione di secondo livello, che negli ultimi anni ha avuto una forte spinta in avanti (le attuali misure agevolative sono limitate, e non strutturali, come chiedono le imprese); e non si parla neppure di scuola-lavoro (in Italia esiste un “mismatch” elevatissimo specie di profili tecnico-scientifici di cui si continua a non interessarsi).
Sul fronte delle politiche di riforma del mondo del lavoro, sembra che tutto cambi perché tutto resti com’è