Attacco allo stato. Il 20 maggio 1999 il professor Massimo D’Antona venne barbaramente ucciso mentre si recava al lavoro. Davanti al suo studio, a Roma in via Salaria, lo attesero Mario Galesi e Nadia Lioce, membri delle “Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente”. La brutta copia del vecchio scellerato e sconfitto gruppo terroristico lo colpì con nove colpi di pistola “per promuovere la costruzione del Fronte Antimperialista Combattente con l’avanzamento della guerra di classe e rivoluzionaria”, così si legge nel comunicato di rivendicazione. Inutile dire come il vigliacco agguato del gruppuscolo brigatista non abbia apportato alcun vantaggio alla causa dei lavoratori, anzi.
Un riformista dalla parte dei lavoratori. L’ideologia perversa dei terroristi li portò a scegliere come obbiettivo “un servo dello stato”: un docente universitario, giuslavorista esperto di diritto del lavoro e di relazioni sindacali. Una follia che ha deciso scientemente di colpire un allievo di Gino Giugni, padre dello Statuto dei lavoratori e, proprio per questo, nel 1983 gambizzato dalle Br, quelle vecchie. La “colpa” di D’Antona è stata quella di essere una delle menti dietro al “Patto per l’occupazione e lo sviluppo”, da cui ebbe origine il “Pacchetto Treu”. D’Antona fu uno strenuo garante dei diritti dei lavoratori, su tutti sul modo di rendere effettivo il divieto di licenziamento senza giusta causa.
Discorsi pericolosi. Era un uomo di sinistra, vicino al Pci ed alla Cgil ed anche un fine intellettuale – come testimoniano le opere pubblicate postume e gli studi su “Rivista giuridica del lavoro”. Un uomo di lotta e di governo che ha sempre lavorato come consulente di ministri, che ha scritto leggi ed ha preso posizioni che gli sono costate la vita. E’ stato additato di essere un «traditore di classe», «venduto alla ristrutturazione capitalistica», «servo del potere» dai suoi aguzzini che oggi trovano continuità nel linguaggio becero e farneticante di certe insinuazioni, fake news e insulti degli avvelenatori di pozzi, nascosti dietro le tastiere.
Massimo D’Antona non era niente di tutto questo: era un uomo per bene, di sinistra ma riformista, moderato, convinto che il cambiamento non debba essere impedito ma governato, sulla base di profonde convinzioni: “Ci sono dei diritti fondamentali del mercato del lavoro che debbono riguardare il lavoratore, non in quanto parte di un qualsiasi tipo di rapporto contrattuale, ma in quanto persona che sceglie il lavoro come programma di vita e si aspetta dal lavoro l’identità, il reddito, la sicurezza, cioè i fattori costitutivi della sua vita e della sua personalità”