Cambiano le sfumature – da gialloverde a giallorosso – non i problemi. Mentre a Roma si discutono ribaltoni, poltrone e ministeri, l’Istat comunica un calo della produzione di mezzo punto. Un vento gelido di recessione dalla Germania soffia sulla nostra industria che torna a registrare il “segno meno”. Crollano ordinativi, fatturato e fiducia dei consumatori, mentre il nostro Pil rimane a crescita zero. Si ferma la crescita degli occupati e la disoccupazione sale al 9,9%. Il nostro paese ristagna, deve essere tirato fuori dal guado.
Ci vuole un cambio di passo. Appena ricevuto il mandato per un secondo esecutivo, Giuseppe Conte ha parlato di “incertezza creata dalla crisi di governo”. Forse, in totale onestà, avrebbe dovuto parlare di incertezza causata dal governo precedente, da lui presieduto per 14 mesi. I 158 tavoli delle trattative rimasti aperti al Mise sono la fotografia più impietosa del dissesto causato dal governo del cambiamento. Non è il momento di rimuginare, non c’è più tempo. E’ necessario un cambio di passo, una direzione chiara, concreta ed efficace per rilanciare il mondo del lavoro nel nostro paese.
Manovrare nel marasma. Nulla contro il progetto di un “nuovo umanesimo”, ma, per rendere il 2019 “l’anno bellissimo” che Conte ci aveva promesso, occorrono risposte immediate a problemi ben più immediati. Dalla natalità ai morti sul lavoro, dalla crescita zero alle problematiche che da decenni affliggono il mondo del lavoro. Il primo atto del nuovo governo deve essere un’operazione di cernita, in grado di setacciare ciò che di buono è stato fatto nei 14 mesi di governo Conte. Occorre evitare l’italica abitudine alla damnatio memoriae che fa seguire all’insediamento del nuovo governo il repentino colpo di spugna sulle riforme del precedente.
Il paese reale lo chiede. Un grosso cambiamento sarebbe dunque mantenere intatte – o al massimo con parziali modifiche – quota 100 e continuare sullo sviluppo delle grandi opere – come il Tav e il Tap e la ricostruzione del ponte di Genova – nel solco della ricerca della flessibilità di Bruxelles. Il Sole 24 Ore in settimana ha stimato come, in virtù dei conti in ordine lasciati dal precedente esecutivo, il governo Conte II dovrebbe varare una manovra da 30-35 miliardi per il 2020. Questo tesoro deve essere capitalizzato, con riforme concrete. Salario minimo su base regionale, politiche attive del lavoro – non assistenzialismo puro – potenziamento del collegamento tra università e lavoro, valorizzazione del patrimonio culturale, politiche sociali che agevolino natalità e conciliazione vita-lavoro, riorganizzazione del turnover nei settori chiave del pubblico – sanità ed istruzione su tutti. Sono le riforme basiche che possono degnamente contribuire al miglioramento mondo del lavoro – che non acquisisce dignità tramite decreto.
Al paese reale non interessano contratti, punti o capisaldi, ma azioni concrete. “Il cambiamento” non può essere una perifrasi da politicante, ma deve essere la direzione che prende il paese attraverso riforme reali.