Partiamo dalla notizia: dal 2021 i rider della nota società di food delivery Just Eat, saranno assunti con un contratto di lavoro dipendente e di conseguenza con le tutele di un normale rapporto di lavoro subordinato. Questo è quanto si ricaverebbe da una mail mandata dalla piattaforma di Just Eat ai propri fattorini, così come riportato da numerosi organi di stampa. La Cgil, tramite le dichiarazione di un proprio rappresentante, Yiftalem Parigi (rappresentante per il Nidil Cgil di Firneze dei rider), parla di “risultato storico” e auspica che questo esempio “venga seguito anche dalle altre aziende di food delivery presenti in Italia”.
A me non sembra che si possa dire che qualcuno avrebbe “vinto”! Non hanno vinto i riders perché non si riesce a capire cosa realmente ci sia dietro la definizione di “subordinati”. Non occorre nemmeno essere esperti di diritto del lavoro per comprendere che la “definizione” di per sé nulla vuol dire. Difatti è lo stesso sindacato che “lamenta” la mancanza di conoscenza degli elementi di dettaglio e la mancata adesione alla pronuncia della Suprema Corte.
Non hanno vinto le organizzazioni sindacali. che in realtà si trovano a “festeggiare” un risultato che non è certo il frutto di un “lavoro” costruttivo, condiviso, valoriale, bensì si trova a far propria la decisione di un gruppo multinazionale di introdurre una metodologia comune di trattamento dei “riders”, ovvero il modello di delivery “scoober”. Non hanno vinto le istituzioni che hanno dimostrato tutte le loro incapacità di gestire i fenomeni sociali ed innovativi del lavoro. Ci ha pensato in parte come sempre la magistratura, addirittura il singolo imprenditore. A fronte di quanto sopra, incontrovertibile, non riesco a comprendere i toni trionfalistici che alcuni esponenti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori hanno assunto in questi giorni.
Come ho detto, non si ha modo di conoscere quanto accaduto nel dettaglio (in una materia dove il dettaglio fa la differenza) ma qualche considerazione comunque è possibile farla. Anzitutto, non si tratta di applicazione di una contrattazione collettiva “ordinaria”, già questo fatto ci fa capire che non siamo in grado di sapere esattamente quali saranno i trattamenti economici e normativi riservati ai “dipendenti”. Si tratterà di contrattazione collettiva autonoma – come nel caso di FCA – ed allora possiamo anche pensare che la scelta imprenditoriale possa aver contemperato “tutte le esigenze” ed aver verificato la “fattibilità” e “profittabilità” dell’inquadramento di che trattasi. Se così fosse, allora credo che si possa – con i caveat del caso- faticosamente individuare qualche vincitore. Parlo di coloro, come il sottoscritto, che non avevano mai posto la questione “autonomia / subordinazione”come qualificatoria; avevo sempre dichiarato la necessità di una regolamentazione che tenesse in considerazione le peculiarità del caso. Questo si è realizzato, come già in altri celebri casi, attraverso la disapplicazione della contrattazione collettiva conosciuta ed impermeabile a qualsivoglia novità e la creazione di una forma di trattamento economico e normativo “Taylor made”. Come sempre, in Italia, tutto viene travisato ed addirittura i più accaniti oppositori (CGIL) della contrattazione “aziendale” fuori dal quadro della “coperta” del CCNL, diventano vincitori e protagonisti salendo sul carro. Questo è il reale problema del nostro Paese: l’ignoranza facilmente “cavalcabile” da chi ne ha voglia ed interesse.