Fiat lux! Anche Fca entra a gamba tesa nel dibattito sul salario minimo. Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni industriali del gruppo, lo ha promosso, affermando che “Ce n’è particolare bisogno in un Paese con ampie fasce di lavoro nero (e grigio) e caratterizzato dal predominare della piccola e piccolissima impresa”. De Biasi è stato audito proprio in quella commissione Lavoro del Senato dove le uniche due concrete proposte di legge sin qui formulate, quelle di M5s e Pd, si sono arenate.
È dunque il momento di orientare il dibattito per impostare una proposta di legge che possa, in un colpo solo, tirare fuori dal guado il salario minimo e, con esso, l’economia italiana. Per contribuire alla fuoriuscita della nostra economia dalle sabbie mobili, è però necessario riformulare i ddl Catalfo (M5s) e Nannicini (Pd) in un’ottica in grado di superare l’omologazione nazionale. In questa sede si è già affermato come tale omogeneità nazionale sia fonte di evidenti disuguaglianze, non tenendo conto di come il costo della vita in Italia sia differente a livello regionale e, soprattutto, tra le grandi aree geografiche del Paese.
I tempi sembrano maturi. Qualcosa sembra muoversi negli ultimi tempi nel mondo della nostra opinione pubblica. In settimana Tito Boeri, intervistato da Il Foglio, si è espresso sul salario minimo. L’ex presidente dell’Inps ha affermato che “introdurre un salario minimo in Italia è un’ottima idea. Ma la decisione non è tanto sul metterlo o meno, quanto sul livello”. Dai dati Inps risulta che sotto i 9 euro orari lavorano, allo stato attuale, il 45% dei lavoratori del Sud. Continua l’economista della Bocconi: “In Italia con differenze così forti tra aree geografiche, bisogna partire con un salario minimo basso, pensato sui livelli salariali del Meridione. E poi, se è il caso, le Regioni possono pensare a indicare salari minimi più alti. Insomma, come funziona negli Stati Uniti, dove c’è un salario minimo federale e uno a livello statale”.
Repetita iuvant. La suggestione proposta da Boeri, è stata poi rilanciata da Nicola Rossi – intervistato dall’Istituto Bruno Leoni – e da Vittori Daniele su Il Messaggero. Tutti concordano su una differenziazione della retribuzione minima a livello locale. Colgo quindi l’occasione per ribadire una proposta di salario minimo che ho a cuore e per la quale da anni, a partire dal 2017 quando la proposi in Regione Lombardia, mi batto. È necessario che la determinazione dei salari minimi avvenga in base al potere di acquisto effettivo espresso per il territorio da un coefficiente ISTAT (indice regionale del costo della vita), nonché dall’indice di produttività territoriale. I contratti collettivi di lavoro devono pertanto essere sottoscritti a livello territoriale (regionale) dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano territoriale. La contrattazione collettiva aziendale determinerà tutti gli ulteriori elementi retributivi (diversi dal minimo) anche in relazione all’andamento della redditività e/o produttività dell’azienda. In caso di contrasto fra contratti collettivi di diverso livello, la supremazia spetta a quello più vicino al luogo di lavoro. La presente legge si applica anche al sistema di relazioni sindacali del comparto pubblico, individuando i soggetti a livello regionale e territoriale dotati della rappresentanza e rappresentatività necessaria per la sottoscrizione di detti accordi.
Nel cinquantennale della conquista della Luna, dunque, il nostro paese sembra compiere un piccolo passo verso il salario minimo orario regionale. Un grande passo verso l’uguaglianza retributiva.