Fedeli alla linea. “John Elkann ha svolto il suo ruolo di presidente della Fca. Lui voleva andare avanti rapidamente, mentre noi volevamo prenderci più tempo per mettere in sicurezza un progetto che poteva avere impatti industriali e tecnologici considerevoli. Ognuno è rimasto fedele alla sua logica, nessuno merita critiche”. A parlare è Bruno Le Maire, ministro francese dell’Economia. In un’intervista, concessa a LeFigaro e ripresa dai nostri quotidiani, mostra le dinamiche che hanno mosso gli ultimi 10 giorni di trattativa per cercare di dare vita al terzo gruppo automobilistico mondiale dopo Volkswagen e Toyota. Tutti gli interessi in ballo erano, sebbene contrastanti, giustificabili nella loro logica. Tutti tranne uno: l’assenteismo del nostro governo.
Mentre a Parigi si discute, Roma è disinteressata. “E’ divenuto chiaro che non vi sono attualmente in Francia le condizioni politiche perché una simile fusione proceda con successo”, nel comunicato stampa di FCA – diramato nella tarda notte di giovedì per annunciare il ritiro della proposta di fusione – viene indicato come principale fallimento delle trattative l’eccesso di interferenza del governo francese. Parigi pretendeva una sede operativa Fca-Renault in Francia, garanzie sui siti industriali, sull’occupazione e una poltrona per un rappresentante governativo nel nuovo cda. In che modo il nostro governo ha provato a incidere nei negoziati? Nessuno. Eppure, l’Italia avrebbe potuto trarre giovamento dall’alleanza tra il gruppo francese ed il Lingotto.
Questo matrimonio si poteva fare. La mancata creazione del terzo colosso automobilistico del pianeta, con la perdita di 5 miliardi di risparmi previsti dalla sinergia tra i due gruppi, potrebbe, innanzitutto, comportare ricadute occupazionali e di borsa e quindi inevitabilmente anche politiche. Ma, soprattutto, il tentativo di fusione tra FCA e Renault è un segnale degli sforzi di ristrutturazione della filiera automobilistica che le nostre aziende stanno cercando di compiere, praticamente senza alcun aiuto statale. Il settore automobilistico costituisce una buona fetta della nostra industria manifatturiera che incide sul 5% del nostro Pil – quasi 100 miliardi di valore. Un’industria che occupa oltre 250mila addetti ed è messa alla prova da sfide tecnologiche – quali lo sviluppo del motore elettrico e delle batterie di nuova generazione – e di politica economica – come la concorrenza sempre più pressante del mercato asiatico.
Il governo continua a stare alla finestra, anzi al balcone. Mi sento di condividere il pensiero di Marco Bentivogli di critica alla “politicizzazione delle vertenze”, come nel caso “nazionalismo industriale francese” con l’intervento a gamba tesa di Macron e Le Maire. Allo stesso tempo, il Segretario generale Fim Cisl, punta il dito contro “l’inazione del governo Conte” che non ha tutelato per nulla il nostro interesse nazionale, tramite l’accrescimento di Fca. Questa vicenda ci dimostra, ancora una volta, la necessità di una politica industriale che in grado di assistere ed indirizzare le nostre aziende. Ma di cui, ora più che mai, piangiamo l’assenza. Mentre si giocava una delle partite industriali più importanti della storia recente del nostro paese, il governo che qualche mese fa annunciava dal balcone di Palazzo Chigi “l’abolizione della povertà”, su quel balcone è rimasto inerme, senza scendere in campo.