Questa settimana racconterò una storia, vissuta personalmente in questi giorni di quarantena, che mi ha fatto molto riflettere. Complici le belle giornate, avendo la fortuna di avere una terrazza, spesso in questi giorni di quarantena mi sono concesso il lusso di lavorare all’aria aperta, anche per la gioia di mia figlia che poteva così fare liberamente i suoi “esperimenti” con acqua, colori e qualsiasi altra cosa impiastricciabile.
Tra una mail e una chiamata ho notato che anche il mio vicino sul lato sinistro lavorava in terrazza. E così, sapendo che si era trasferito da poco, mi sono avvicinato per salutarlo e presentarmi. Da li abbiamo iniziato a chiacchierare di tanto in tanto e, dopo un paio di giorni, si è aggiunto anche il suo vicino. Infine anche l’altro mio vicino dal lato destro, sentendoci parlare, si è aggregato anche lui. In pochi giorni ci siamo ritrovati a chiacchierare frequentemente. Ovviamente di Corona-Virus, ma anche tanto di Politica ed economia quanto di come fare un ottimo barbecue. Per fortuna le distanze tra le terrazze ci consentivano di rispettare le norme sul distanziamento sociale.
Riflettendoci poi ho realizzato che pur vivendo qui da 2 anni non avevo mai parlato con i miei vicini e quando per caso avevamo incrociato gli sguardi tra una terrazza e l’altra avevamo fatto finta di non vederci quasi istintivamente. In queste settimane ho riscoperto le fattorie vicino casa, ho riapprezzato la scelta di non vivere nel pieno centro di una metropoli ma più immerso nel verde e a due passi dal lago. Da buon Expat frequentavo i locali del centro, facevo i miei acquisti nei grandi supermercati e nei negozi del centro. Negli ultimi due mesi invece ho fatto tutto in bici, la macchina che usa moglie è ferma dal 3 marzo e la mia l’ho presa solamente per fare le spese un po’ più grosse. Penso che se ha fatto 30 chilometri negli ultimi mesi è tanto.
Finalmente con il corona virus posso dire di aver conosciuto il posto in cui vivo e non è banale. Per la prima volta dopo tanti anni passati a vivere da expat di qua e di là per il mondo, mi sento di nuovo “local” ed è una bella sensazione. Fatte queste considerazioni, non penso che la globalizzazione (termine che già non ha mai riscosso i miei favori) dopo il corona virus di arresterà ma penso che cambiarà molto, che si riscoprirà un raggio più corto e la “complessità” sarà conciliare le due cose: cosa nella mia vita lascerò globale e cosa riporterò localmente? Le vacanze le farò sempre prendendo lunghi voli o deciderò di scoprire i laghi, le valli e le montagne nei paraggi? Alcune di queste scelte potranno essere obbligate ma altre saremo noi a farle e penso sia importante farlo focalizzando il punto.
Ultima riflessione, che però non approfondirò qui, penso che anche le città e l’urbanistica cambieranno. Con lo smart working che aumenta e i tanti disagi che chi si è trovato a dover affrontare questa quarantena in una grande città, non mi stupirei nel vedere una crescita del numero delle persone che lasciano le metropoli per spostarsi di nuovo in un contesto più “locale”. Un trend del genere avrebbe delle ricadute enormi non solo sul mercato immobiliare ma anche sul mondo aziendale, per esempio sulle scelte delle aziende in termini di collocamento delle sue sedi e delle relative dimensioni.
Come potrebbe cambiare il mondo. Produzioni locali e negozi a conduzione familiare potrebbero anche loro beneficiarne in maniera sensibile e magari inizieremo a vedere un’inversione di rotta nella chiusura dei piccoli esercizi per effetto delle grandi catene e dei centri commerciali. Il futuro ovviamente sarà da vedersi, tuttavia prepararsi e anticipare tendenze di questo tipo possono essere molto interessanti da studiare da un punto di vista sociologico e ricco di opportunità.