Patrik Gerbaz ha 43 anni ed appartiene quindi ad una di quelle generazioni per le quali nascere e crescere in Valle d’Aosta corrispondeva ancora ad avere un obiettivo sicuro: diventare un dipendente pubblico. Mi ha parlato di lui un amico comune è così l’ho incontrato in piazza Chanoux, ad Aosta. All’appuntamento arriva in bici, e quando si toglie gli occhiali da sole scopro che il suo sorriso aperto si unisce ad uno sguardo allegro e vivace.
Ci presentiamo, e se il suo essere valdostano è evidente per quella z finale del cognome, lui è stupito delle mie origini valdostane, “chiaramente non paterne” ammetto. Per prima cosa mi racconta del suo diploma di geometra e del successivo corso di Architettura Storica Minore. Poi mi dice dei primi quattro anni passati in uno studio di Agraria Forestale, e poi del suo primo passo nel pubblico, nel 2000, con un contratto di consulenza per la Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Regione Valle d’Aosta. “E poi di consulenza in consulenza: per 13 anni mi sono dedicato all’esame di pratiche edilizie per il rilascio dei nullaosta laddove c’era un vincolo paesaggistico, quasi il 90%della Valle.”
Mi spiega che la sua vita era come quella di un dipendente regionale: sette ore in ufficio e poi il tempo e la tranquillità di dedicarsi ai propri hobby, sportivi e non. “La mountain-bike era però da sempre la mia vera passione e a lei dedicavo la maggior parte del mio tempo libero. Era una passione che volevo condividere, per questo presi il patentino come maestro di F.C.I., la Federazione Ciclistica Italiana, e poi iniziai ad insegnare ai bambini.”
Mi racconta anche di quando nel 2006 un amico lo convinse a seguire, un pò controvoglia, un corso professionale per poter essere inserito nell’albo valdostano dei maestri di mountain bike che operano sul territorio in ambito turistico. “Ma a cosa mi servirà questo patentino? Me lo chiedevo ogni mattina quando entravo nei palazzi regionali per occuparmi dei nullaosta.” Ammette che il lavoro come geometra gli piaceva, che si sentiva come un dipendente regionale, “l’unica differenza tra me e loro era che non timbravo”. Certo ogni anno c’era un mese e mezzo di interruzione nella consulenza e poi qualche timore sulla ripartenza, ma confida che “sembrava tutto sicuro”.
Sembrava, già, perché nel 2013 la Regione senza alcun preavviso al termine dell’ormai consueto mese di interruzione semplicemente non lo ha più contattato. Mi ricorda che quando ha cercato il suo primo referente la risposta fu secca “c’è la crisi, siamo in regime di spending review, abbiamo dovuto fare dei tagli, ma tranquillo, se sento qualcuno che ha bisogno ti faccio sapere”.
“Nessuno si è fatto sentire. Mi sono sentito scaricato, non mi aspettavo un grazie, ma almeno dei saluti e dei rapporti normali con i responsabili con cui avevo lavorato per 13 anni, ed invece nulla, un distacco freddo e duro, una chiusura totale”. Patrik mi racconta che di quei giorni ricorda la delusione e la rabbia, non solo per l’interruzione della collaborazione quanto piuttosto per l’assenza totale di relazioni e reazioni umane. E proprio nella primavera in cui scopre di non poter contare su quella che tutti qui chiamano “mamma Regione”, Patrik diventa padre. “In quei mesi è nata Chloé, e così ho imparato che nel male c’é sempre anche del bene. Non lavorando infatti mi sono potuto dedicare totalmente a lei, in quei primi mesi di vita che sono più che mai unici.” Poi, dice, ha sentito la spinta a ripartire, forse anche grazie alla gioia ed alla responsabilità della figlia.
“Mi sono chiesto: da dove riparto? Così ho pensato che oltre agli obiettivi nella vita ci sono anche i sogni. E cosa sognavo io? Fare della mia passione un lavoro.” Così quando mamma Regione lo ha scaricato lui ha preso la sua mountain bike ed ha iniziato a pedalare e non si è più fermato, “come Forrest Gump, ma su due ruote”, dicono gli amici che nel frattempo si sono uniti a noi nel dehor del bar di piazza Chanoux.
Scopro che negli ultimi due anni Patrik ha fatto chilometri e chilometri accompagnando turisti, italiani e non, alla scoperta delle bellezze della Valle d’Aosta. Lo fa da professionista grazie a quel patentino regionale acquisito nel 2006, lo fa con entusiasmo grazie alla passione sia per la mountain bike che per la Valle. “I miei clienti sono persone tra i 10 e i 80 anni, allenati o principianti, neofiti o veterani della mountain bike. Accompagno biker sfegatati, ma anche persone che mi chiedono bici con la pedalata assistita. Per me è lo stesso. Quello che conta è la curiosità, il voler vivere un esperienza di scoperta della Valle. Con la mountain bike arrivi quasi dappertutto ed in meno tempo. E poi l’ebbrezza delle discese.”
Mentre penso che potrebbe andare avanti ore a raccontare del perché la montagna va scoperta pedalando, Patrik dice che quel che merita davvero è iniziare a pedalare e sperimentare tutto in prima persona. Quando gli chiedo delle sue uscite classiche mi mostra le foto scattate durante i tour del Monte Bianco, quelli del Mont Fallère, dei cinque giorni di coast to coast dell’intera Valle. Poi aggiunge che esistono anche percorsi pianeggianti, come quello dei 12 km lungo lo storico canale irriguo “Ru Neuf” di Aosta che regala viste incantevoli senza imporre salite impegnative, ed anche percorsi culturali, come quello tra i castelli della Valle, e quelli enogastronomici, a Morgex tra i vitigni più alti d’Europa, che terminano sempre con degustazioni presso le Aziende vinicole locali.
Dato che in questo mese Patrik accoglierà ed accompagnerà un gruppo di Israeliani ora si sta dedicando a perfezionare il suo inglese, ma sta già anche preparando delle proposte per l’inverno per le uscite in Fat Bike, le bici nate appositamente per pedalare sulla neve, con cui “il divertimento è assicurato”.
Quando ci salutiamo mi dice che sa che le sfide continuano, e che non sarà facile, “la crisi c’è e non solo per la Regione, ma ora ho chiaro che bisogna andare oltre i propri obiettivi, scoprire i propri sogni, e, con determinazione e passione, realizzarli. E questo è quello che insegnerò a mia figlia, ed è questo che spero che imparino presto, e sempre più, tutte le nuove generazioni valdostane: andare oltre gli obiettivi per scoprire le proprie passioni, i propri sogni e realizzarli, senza puntare a finte sicurezze”. Gli amici, tutti, si uniscono al brindisi dedicato a questo cambio valdostano. E cambio sia, pedalando!
di Samantha Marcelli
1 commento
Bello! Regala un senso di calore e speranza a tutti, non solo perché anche nella crisi si può trovare una soluzione, ma anche perché troppo spesso perdiamo di vista quello che “vorremmo” fare nella nostra vita a discapito di quel che “dobbiamo” fare