“A quarant’anni una donna ha bisogno di verità”. Letizia Fabbri inizia così a raccontarmi la sua storia di cambio vita. Ci incontriamo nella sua Ca’ Bianca, a Montefiore. Ci accomodiamo sotto l’ulivo guardando il mare. E bevendo un estratto di mele ed assaggiando i suoi biscotti appena sfornati le chiedo di spiegarmi.
“Sono nata a Pesaro da un allievo di Olivetti. Mio padre era uno dei migliori concessionari esclusivisti del Nord Italia. Ricordo quel fare tutto in modo diverso, mettendo al centro la persona, la responsabilità, la comunità ed anche l’innovazione, la bellezza e lo stile. Dopo il diploma andai a lavorare con lui. Mi sembrava normale. Sono rimasta lì venticinque anni. Un periodo intenso, di crescita e cambiamenti. Vendevamo arredi ed apparecchiature d’ufficio e davamo anche assistenza tecnica ai clienti. Io ero la voce dell’azienda, a fianco di mio padre. Anche mio marito lavorava con noi. Arrivammo ad essere quattordici impiegati. Le mie tante idee innovative non sempre venivano ben accolte da mio padre. Ricordo quando pensai di dipingere il mio ufficio di rosso. Mi impedì tassativamente di farlo. Ma tutto andò comunque bene fino a quando venne il momento di passare il testimone”.
Il padre stava invecchiando e si doveva ridefinire il vertice aziendale e fu allora che Letizia scoprì qualcosa che non immaginava. “Mi ritenevano tutti brava, ma il mio essere donna per chi mi stava intorno era un limite. Fu una delusione. Una grande delusione. Decisi di restare comunque e per due anni mi dedicai solo alla vendita diretta presso i clienti, poi mi fu impossibile proseguire”. Letizia mi spiega che erano venute meno le condizioni per restare, e che semplicemente un giorno entrò in ufficio, prese la sua radiolina e uscì.
Uscire per far cosa?
Non lo sapeva, ma sapeva quel che non voleva più. I genitori le tolsero il saluto, il marito era contrariato, la figlia allora ventiduenne la osservava. “Fu un’estate dura, ma avevo bisogno di capire chi ero e cosa sapevo fare da sola”. E la solitudine divenne più grande quando anche il mio matrimonio finì. “Anche questa rottura venne dal mio bisogno di verità. Capimmo di essere rimasti insieme solo per il lavoro e per l’abitudine, così ci separammo”.
Era il 2010, e raggiunti i 46 anni Letizia iniziò la sua nuova vita, da sola, sperimentandosi come libera professionista. “Mi proposi come arredatrice, funzionò. Ma proprio l’incontrare tante persone mi fece venire una nuova idea. Li vedevo tristi, alla ricerca. Così decisi di utilizzare questa casa colonica di mio padre, incantevole, direi quasi incantata, come spazio per eventi ed incontri. E così feci. Iniziai in sordina. Mi presentavo ai clienti con due biglietti da visita. Nel secondo c’era scritto Ca’Bianca, e dicevo loro – venite a trovarmi, organizzo degustazioni di prodotti di eccellenza del territorio”. Fu un successo fin dall’inizio. La casa colonica divenne ben presto ricercata per eventi di vario genere: da corsi di formazioni, a meeting, a matrimoni. “Tutto questo mi riavvicinò a mio padre, entusiasta di questa mio aver dato vita ad uno spazio di cultura, ricerca ed approfondimento.
Fu proprio in quel momento che mi venne un’altra idea. Avevo affittato un locale per un matrimonio che mi chiesero di organizzare. Era in mezzo a un bosco, una meraviglia. Quando scoprii che il mese dopo avrebbe chiuso, persino mio padre mi disse che era un’occasione da non perdere. Creai una cooperativa per gestirlo. E l’avventura iniziò. Seguivo Ca’ Bianca ed il Ristorante. Poi però dopo un anno mezzo le divergenze di vedute con le socie crebbero”. Mi racconta così di un incontro provvidenziale con Tiziana. “Uscivo in lacrime da una riunione al ristorante. Ero spersa, non sapevo che fare, come continuare. Nel bosco passava una donna in bicicletta. Si avvicinò, parlammo un po’ e lei mi disse – non ti preoccupare io ci sarò sempre per te -.” Non la conosceva, non sapeva chi fosse, ma senti che poteva fidarsi. “Negli anni è nata un’amicizia con Tiziana, ma non solo. Ora che ho lasciato il ristorante, collaboriamo. Lei mi aiuta in estate nella gestione della Ca’ Bianca, che nel frattempo è diventato anche un B&B ed io la aiuto in inverno nella sua Cioccolateria italiana“.
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Mentre entriamo in casa visitando le tre stanze, curate in ogni minimo dettaglio, mi mostra il calendario dei prossimi appuntamenti dell’associazione culturale ca’ Bianca che nel frattempo ha creato. Sono incontri, corsi e seminari che uniscono benessere, bellezza, spiritualità, attenzione al territorio, cultura, innovazione”. Ora faccio finalmente qualcosa che esprime a mio modo, in questo tempo, in questa terra, il mio amore per la vita ed in un certo senso anche i valori olivettiani”.
Arrivate al parcheggio mi mostra la sua panda.”Ecco, anche questo è un segno del mio cambiamento. È la prima auto che mi sono comprata, con i miei sforzi, quest’anno che compirò 53 anni. Piccola, a gas. Ne sono fiera! Penso che anche mio padre ora sia fiero di me. Ma ho dovuto vivere un momento duro di rottura per fare tutto questo. Se fossi rimasta lì, nell’azienda di mio padre, avrei tradito i valori con i quali ha desiderato crescermi. A volte per essere fedeli ai propri valori bisogna rompere vecchi schemi ed andare oltre”. Letizia continua a raccontarmi con allegria ed entusiasmo di questo suo cambio vita, si capisce che per lei è stata una vera liberazione. “La verità che cercavo a quarant’anni ora la sto vivendo. Ci sono io per quello che sono davvero. A volte è dura, sicuramente impegnativo, ho fatto grandi sacrifici, ma è tutto vero”.
Grazie Letizia. Bella la tua Ca’ Bianca, ed intensa la tua capacità di attrarre persone e creare relazioni. Chissà se questo bisogno di verità dei quarant’anni è solo femminile. Lo chiederò al nostro amico comune Daniele Andreani, così forse si deciderà a raccontarmi il suo cambio vita.
di Samantha Marcelli
1 commento
Letizia: l’incarnazione del detto “Volere e Potere”, un esempio per noi giovani ;-)…