A dodici anni Stefania Mairano dopo aver ideato la sua firma perfetta disse: “Eccola, già pronta per il giorno in cui firmerò le mie opere”. Ma nei successivi trent’anni non ci furono opere, anzi nemmeno l’idea di farne, e quindi nessuna firma speciale da mettere. La sua era una vita normale, scandita da tempi ed impegni di un lavoro da impiegata. Dopo un tentativo in università, alla facoltà di Pedagogia, era subito entrata in un’azienda a pochi chilometri da casa, poi ogni 4 o 5 anni aveva cambiato società passando dall’ambito amministrativo a quello commerciale.
“Erano altri tempi. Il lavoro si trovava facilmente. Passai da Coram concessionario Xerox a Sitelcom e nel 2003 approdai nel settore immobiliare e delle costruzioni.” Poi però gli effetti della crisi si fecero sentire. “Nel 2014 l’azienda richiede la cassa integrazione e proseguì con il licenziamento. Avrei potuto mettermi a cercare un altro lavoro come impiegata, ma la crisi qua nel torinese è ovunque e mi sembrava assurdo mettermi ad aspettare. Meglio fare qualcosa di mio!”. Stefania mi racconta così della sua decisione di trasformare quello che negli ultimi tre anni era diventato il suo hobby in un lavoro.
“Iniziò tutto per caso, o forse era destino. Nel 2011 con la figlia del mio capo andai ad Arto’, il salone torinese dell’artigianato d’arte e del design quotidiano. Mi colpirono subito le opere di Daniela Savio. Mi fermai a guardarle e riguardarle. Sul tavolo c’era una locandina che pubblicizzava i corsi. La misi in borsa. Poi in ufficio ne parlammo. Affare fatto! Impareremo anche noi a creare ceramiche e porcellane artistiche!” Al corso si iscrissero entrambe, anche se solo Stefania ci si appassionò. “Andavo a lezione una volta a settimana, e più passava il tempo e più mi sembrava troppo poco. Le giornate in ufficio diventavano lunghe e non vedevo l’ora di poter creare”.
E così nel 2014 quando si trovoò senza lavoro inizioò a passare giornate intere a creare .’’Creavo le mie prime opere. E sì’, finalmente le firmavo. Che emozione poter mettere la mia firma! Quella firma che avevo ideato a 12 anni”. In quelle giornate nacque il desiderio di autonomia di spazi e creatività. “Un forno mio, un luogo dove creare in piena libertà ed autonomia. Continuavo ad avere un’immagine di me, in un mio studio, con sotto il tavolo un cane”. E così è stato. A dicembre dello scorso Stefania ha aperto il suo laboratorio e punto vendita, a Torino, in via Peyron 50/c.
L’entusiasmo è tanto, e lo esprime tutto mentre mi mostra i suoi vasi, lampade, collane, bijoux, raccontandomi prima l’intensità del momento della creazione – una vera e propria meditazione- e poi, per ognuno la sua storia. Mi incuriosisce La Piera, una lampada con fiori disegnata pensando alle cuffie da bagno degli anni ottanta. E che dire di Monsu causs’t? Il vaso fatto a calzettone che scende. Davvero particolare. “Ho deciso di osare e di puntare tutto su me stessa dopo che nei mercatini a farmi i complimenti e a chiedermi i prezzi erano gli sconosciuti e non solo gli amici. Quello è stato il punto di svolta! Poi tutto è venuto da se, come se fosse destino. Pensa che questo spazio prima era dedicato a raccogliere pappe e coperte per cani abbandonati. Ci passavo a trovare un’amica di mia madre, e mi era capitato di pensare che sarebbe stato il luogo perfetto. Si liberò proprio quando io decisi che era venuto il momento di osare”.
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È lucida nel riconoscere il rischio che ha deciso di correre, ma è decisa a vivere appieno questa grande occasione che la vita le ha dato. “La crisi c’è, ma la questione è un’altra. E’ come la si vive, come la si affronta. Bisogna prima cambiare noi stessi, rigenerarci, riprogrammarci, anche a livello profondo. Spesso ascolto Emiliano Toso, la sua Translational Music® creata con Bruce Lipton, permette di accedere a stati di profonda trasformazione, e questo è un vero aiuto”. Poi mi mostra dei ciondoli con impressi degli ingranaggi e mi racconta. “Ero in cucina, mi si era rotto il timer. Quando ho agitato quel ovetto nella speranza di farlo ripartire ho sentito che qualcosa dentro si muoveva. L’ho smontato ed ecco gli ingranaggi. Così è nata l’idea di questi ciondoli”.
Ci salutiamo con la promessa di rivederci per fotografare le prossime creazioni “e chissà, forse anche il cane, unico tassello mancante al mio sogno”. Grazie Stefania, per esserti raccontata e per il ciondolo. Concordo, merita sempre guardare meglio, scoprire gli ingranaggi, del tempo e della vita, solo così si sa come ed in cosa osare per affrontare ogni tipo di crisi.
di Samantha Marcelli