Se si dovesse parlare di lavori agli antipodi, una bella coppia potrebbe essere proprio quella del banchiere e del contadino. Transazioni, conti correnti, bonifici e investimenti da una parte, semine, raccolti, animali e tanto sudore dall’altra. Basta poco per immaginare quanto forte dev’essere stato il salto per Giovanni, classe 1942, che arrivato a un punto della sua vita ha deciso di lasciare il suo comodo “posto in banca” per andare a vivere in una comune insieme a degli amici e con loro dedicarsi all’agricoltura, all’allevamento e all’apicoltura condividendo fatiche e risparmi.
Mi sembrava di rubare lo stipendio – Dopo aver studiato economia, Giovanni inizia a seguire le tracce del padre, un banchiere doc, innamorato della sua città, Siena, e della banca di quella stessa città, di cui era dirigente: “Mio padre ha speso la sua vita per il suo lavoro, era tutto per lui, ed era naturale che quando sarebbe andato in pensione io sarei subentrato al suo posto, in quegli anni funzionava in quel modo”. Così è stato: finiti gli studi, a 27 anni, nel febbraio del ’69, Giovanni lavora come banchiere prima a Firenze, poi a Siena. Soprattutto dopo il trasferimento, lontano dalle distrazioni di Firenze, inizia a capire che qualcosa di quella vita non lo convince: “Mi sembrava di rubare lo stipendio. A Siena ero all’Ufficio Studi che, in teoria, doveva fare statistiche, relazioni economiche, essere di supporto portando avanti dei progetti. In realtà il mio compito, di fatto, era quello di fare la mattina un ‘collage’ delle notizie economiche da mandare agli uffici e poco più. Il resto del tempo lo passavo a non far niente. Non faceva per me. Mi annoiavo e non mi sentivo realizzato.”
Amici dall’Africa – Mentre Giovanni lavora a Siena succedono due cose determinanti che cambieranno definitivamente il corso degli eventi: primo, eredita dai suoi genitori un podere a Casole d’Elsa (Si); secondo, tornano in Italia dall’Africa degli amici di Giovanni, che già quest’ultimo era andato a trovare anni prima (tornando dall’Africa peraltro ammalato di epatite!); questi amici, ci racconta Giovanni, invece che tornare a lavorare nella Fiat e nell’Alfa Romeo dove erano occupati prima della partenza, avviano una comunità agricola, il primo anno in Piemonte poi in Toscana a Castelfranco di Sotto, in provincia di Pisa. “Mi ricordo di aver detto a mia moglie: ‘questa è una occasione che non possiamo perdere’”, spiega Giovanni, che nel frattempo si è sposato con Gigliola, conosciuta a Firenze, “La campagna mi piaceva, ma non ero capace di fare niente; se volevo prendere in mano il podere che avevo ereditato dovevo prima imparare molte cose”. Giovanni mantiene per ora il posto in banca e riesce a farsi trasferire da Siena a Empoli. “Io e mia moglie, di comune accordo, abbiamo deciso di trasferirci e aderire a questa comunità agricola; continuavo a lavorare in banca e versavo alla comunità i soldi che guadagnavo”.
Giacca e cravatta, zappa e stivali – Banchiere un giorno, contadino l’altro, Giovanni si divide tra i due lavori, un po’ giacca e cravatta, un po’ zappa e stivali. Per un anno indossa i panni dell’uno e dell’altro, e così facendo non fa che che convincersi di voler fare una scelta più decisa: “Mi piaceva davvero questo impatto, questa nuova vita in campagna, le bestie, i campi coltivati, l’uva, la vendemmia, le semine. Decisi di lasciare il mio lavoro in banca”. Nel giro di un anno il suo futuro viene rivoluzionato e le sue prospettive cambiano completamente, così come la sua quotidianità. La banca è ormai dietro le sue spalle. “Questa esperienza nella comunità è stata stupenda”, ci spiega Giovanni , “c’era un gran giro di persone che ci venivano a trovare, eravamo inseriti nel territorio, abbiamo partecipato a varie attività, collaboravamo anche col comitato antinquinamento – quella zona è una delle più inquinate d’Italia -. Si coltivavano cereali, tabacco, granoturco, girasoli; avevamo un grande orto, quattro mucche e animali da cortile. Facevamo qualche lavoro extra ogni tanto ma niente di più. Vivevamo dei prodotti della fattoria”.
La diversificazione del rischio e “questioni di chimica” – Dopo qualche anno la comunità si scioglie. Giovanni e Gigliola, tornano nel loro podere. Sono soli, ma dal lavoro in comunità hanno imparato molte cose: “Anni prima avevo già piantato degli olivi, e avevo già messo una piccola vigna di duemila metri. In comunità, soprattutto, avevo imparato a fare l’apicoltore insieme a un ragazzo che si era unito a noi per un periodo portando con sè due alveari”. Per Giovanni l’arrivo di questo ragazzo era stato un segno: “Sono questioni di chimica che uno non sa mai spiegarsi bene, ma il discorso delle api e dell’apicoltura mi affascinava. Quando in comunità è arrivato questo ragazzo con i suoi due alveari ho pensato che fosse una grande fortuna per me. Ho comprato con lui 20 piccoli sciami che ho poi portato qui a Casole d’Elsa quando la comunità si è sciolta. Dopo il trasferimento stavano producendo tantissimo miele: significava che il posto era quello buono.” Ma, oltre all’apicoltura, Giovanni vuole percorrere altre strade, come gli suggeriscono i suoi studi in economia: “Ho deciso di far fruttare la mia laurea e applicare la ‘diversificazione del rischio’ investendo su fronti diversi: oltre all’apicoltura ho quindi portato avanti la cerarealicoltura, l’olivicoltura e la lombricoltura – molto diffusa in quel periodo per la produzione di humus”.
“In campagna spendi poco e se sei bravo spendi ancora meno” – Dopo lo start-up, l’attività si va definendo ulteriormente. Giovanni si rende conto in fretta che inizia a maturare in lui una ricerca della qualità più che della quantità: inizia a non usare più concimi chimici e si sposta su coltivazioni biologiche e rispettose dell’ambiente. Comincia a partecipare ai mercati della “Fierucola del Pane” a Firenze, un evento che, ci spiega Giovanni, avrà un successo incredibile. “Lì abbiamo iniziato a vendere i nostri prodotti: miele, olio, tinture di propoli ecc. Nel tempo ci siamo fatti i nostri clienti e molti turisti si fermavano a visitarci e ad acquistare i prodotti – c’è una freccia sulla strada “Podere Palazzetto” che fa il suo dovere in questo senso!”. L’attività, soprattutto grazie all’apicoltura che si rivelerà il ramo più redditizio, va a gonfie vele. Giovanni e Gigliola riescono a essere economicamente indipendenti: “Siamo sempre riusciti a vivere di apicoltura e delle vendite dei nostri prodotti, anche grazie al fatto che abbiamo iniziato a impostare un discorso un po’ ‘autarchico’: se mangi e usi i tuoi prodotti uno stipendio da impiegato non ti serve. In campagna spendi poco e se sei bravo spendi ancora meno!”.
Indietro mai –Chiediamo a Giovanni se non si è mai fermato a domandarsi in questi anni se quella è stata la scelta giusta, se non ha mai avuto un momento difficile o di ripensamento: “Non mi sono mai voltato indietro a dire ‘come si stava bene in banca’. Mai successo”, ci risponde. “Era una esperienza chiusa. Sono stato subito così coinvolto con l’attività in campagna che non ho mai più pensato a quella che era la mia vita ‘di prima’. È stato subito ‘Passato’”.
Se incontraste Giovanni un giorno, percorrendo le strade toscane, non potreste mai immaginare che anni prima lavorava dietro a uno sportello in banca: la sua vita di adesso, straripante di vasetti di miele, sembra calzargli perfettamente. Potremmo concludere: contadini non si nasce, si diventa!