Si sta davvero esagerando, teorizzando un pensiero inconcepibile! I nostri giornali accarezzano l’idea che il modello californiano della Silicon Valley possa avere qualcosa da insegnare al nostro Paese, in tema di diritto e di regolamentazione del mondo del lavoro. In un pezzo del Sole 24 Ore – intitolato “Gig Economy, stretta su Uber e Lyft: ai riders stessi diritti dei dipendenti” – si legge nel sottotitolo: “il Senato della California ha appena approvato una proposta di legge che potrebbe costringere Uber, Lyft e altri giganti della delivery economy a riclassificare i propri lavoratori come dipendenti”. Un attacco preoccupante, a cui fa seguito, nel corpo dell’articolo, la totale incomprensione dei temi fin troppo mediatici di “riders” e “Gig economy”.
Quali sono i diritti che lo stato della California riconosce ai lavoratori? Qual è la situazione dei diritti dei lavoratori in USA? Ricordiamo tutti le immagini di uomini con la cravatta slacciata che escono da enormi grattacieli coi proverbiali scatoloni con gli effetti personali, dopo essere stati liquidati dal datore di lavoro oltreoceano. Bene, com’è possibile paragonare quella situazione all’attuale dibattito nel nostro Paese? Se anche l’articolo in questione riconosce come anche nel sistema USA il riconoscimento di pochi “diritti” potrebbe “distruggere gli affari di imprese quali Uber”, immaginate cosa significherebbe per quelle stesse imprese una simile operazione in Italia.
Si sta scaricando sul lavoro un concetto di precarietà che invece è della Società, della vita, del futuro incerto! Si combattono piccole battaglie inutili e non si vede il quadro generale, nella sua ampia complessità. Un sistema, delle regole, dei principi – quello americano – che non è più applicabile al mutato assetto della nostra società e delle nostre imprese. Siamo in presenza di cambiamenti epocali e nello stesso tempo tentiamo di rimanere attaccati al vecchio sistema. Cosa potrebbe mai essere in grado di garantire? Ed allora pubblichiamo notizie come questa, provenienti da un Paese che non sa nemmeno cosa sia la “subordinazione” della quale parliamo, di un Paese che quotidianamente additiamo come esempio negativo della considerazione del “capitale umano”. Corriamo dietro qualsiasi modello: tedesco per la rappresentanza sindacale; svedese per il part-time; adesso, americano per lo smart-working. Ma vogliamo restare italiani per tutto il resto che non possono garantire questi sistemi. Il tema dei riders è semplicissimo se solo si volesse sgombrare il campo dagli slogan politici.
Occorre un sistema di “protezione” per le persone e per i terzi, stabilito con competenza da conoscitori del mercato. In questo esercizio, è necessario tutelare gli strumenti utilizzati dai vari CCNL per determinare nei diversi settori i minimi contrattuali, che già in questa prospettiva non sono uguali per tutti. Non certo quello che accade con il decreto legge 101/2019. Si può interpretare in qualunque maniera, non ci sono divieti né concessioni e si lascia, come al solito, alla magistratura il compito di sistemare le cose. E ciò al di là delle chiare difficoltà interpretative, naturale conseguenza di norme scritte in assenza delle benché minime competenze tecnico-giuridiche.
Parole e pensieri in totale e completa libertà, quella libertà che, quando non ha alcuna consapevolezza giuridica e sistemica, rischia di essere dannosa.