La notizia, dei giorni scorsi, è per certi versi, clamorosa: Unicredit ha ufficializzato, ovviamente con un post pubblicato sul proprio profilo social, che a partire dal 1° giugno non sarà più su Facebook, Messenger e Instagram. In modo definitivo e in tutti i Paesi dove l’azienda opera. La motivazione? Garantire ai clienti un dialogo riservato e di alta qualitàvalorizzando i canali digitali proprietari. La compagnia, in altre parole, ritiene che gli strumenti di contatto presenti nelle piattaforme di proprietà, coordinati attraverso un modello di servizio in grado di offrire assistenza a 360 gradi, rappresentino la miglior modalità di fornire un servizio adeguato ai clienti.
Perché, si sono però chiesti in molti, una delle più importanti banche italiane (26 milioni di clienti su scala globale e attività in 18 Paesi del mondo) ha preso la decisione di abbandonare le piattaforme della galassia di Mark Zuckerberg (gli account su Twitter e Linkedin per il momento dovrebbero rimanere attivi) per privilegiare il proprio sito Web e canali di comunicazione più convenzionali come e-mail, telefono e chat? Perché vuole rinunciare a una potenziale audience mensile di 31 milioni di consumatori, tanti sono gli utenti iscritti a Facebook in Italia, di cui 25 milioni attivi giornalmente? Una prima risposta trova fondamento nella presa di posizione del marzo di un anno fa, quando Unicredit, per ordine del suo Ceo, Jean Pierre Mustier, stoppò completamente gli investimenti pubblicitari su Facebook all’indomani dello scoppio dello scandalo Cambridge Analytica. Questioni etiche legato al trattamento dei dati e alla privacy, dunque, ma anche questioni legate al business.
Le reazioni. La decisione di Unicredit fa discutere, tra chi appoggia la scelta e chi invece la contrasta. Scorrendo le bacheche dei profili Unicredit si nota come la maggior parte delle richieste avanzate dai clienti riguardi in realtà l’assistenza per problemi specifici. Togliendosi da Facebook e Instagram, dicono i maligni, Unicredit riduce drasticamente il rischio di commenti pubblici negativi ma è evidente che il colosso finanziario abbia voluto smarcarsi del tutto dall’immagine “compromessa” del social network più popolato del mondo per riaffermare la propria affidabilità sul fronte della privacy, allo scopo di tutelare ulteriormente i dati dei propri clienti.
Leggendo della questione su LinkedIn, c’è chi fa giustamente notare come, per una banca, i social non siano (solo) un canale pubblicitario su cui farsi trovare, bensì un’interfaccia per dialogare con i propri clienti e un potenziale ottimo sistema di “customer care”. Per fare questo servono però risorse, manager che credono in questo canale e in grado di mettere in campo azioni mirate per renderlo efficace, e personale e in grado di gestire la presenza online dell’azienda come a uno sportello pubblico, con grandi capacità di empatia e di autocontrollo. Il caso della pagina Facebook dell’Inps per la famiglia, scoppiato in occasione dell’avvio del reddito di cittadinanza, con il social media manager dell’Istituto di previdenza finito nell’occhio del ciclone per le risposte “eccessive” fornite ad alcuni utenti provocatori”, fa scuola. Gestire male le pagine di un profilo social può essere un boomerang e controproducente, in termini di immagine e di ritorno degli investimenti.
Gli altri abbandoni eccellenti. La decisione presa da Unicredit, giusta o sbagliata che sia (lo sapremo forse più avanti) non è comunque un evento eccezionale se consideriamo il rapporto fra grandi aziende e il social network. La multinazionale britannica della cosmesi Lush, a metà aprile, annunciava sul proprio profilo Instagram, di voler abbandonare tutti i suoi account social, da Instagram (573mila like) a Facebook (423mila) passando per Twitter (202mila follower). Il motivo? Ufficialmente, come si legge nel post, per non combattere ancora con gli algoritmi ed evitare di spendere denaro per apparire nel newsfeed dei propri follower. Per avere una grande visibilità sui social network si paga (e parecchio) ed è noto che Facebook sia di fatto il più grande mercato di advertising del pianeta, nonché assoluto detentore della “proprietà” dei dati dei suoi utenti. Lecito quindi pensare, per una multinazionale che ha idee chiare in tema di relazione con i propri clienti, che la scelta più logica sia quella di uscire da alcune piattaforme digitali e puntare su altri mezzi, sia online che offline. Le scelte Unicredit e Lush sono l’inizio di una grande fuga da Facebook & co? Impossibile a dirsi ora. Certo è che altri colossi finanziari come Commerzbank, tech company come Tesla e Space X (entrambe di Elon Musk) o giganti dell’entertainment come Playboy hanno già fatto questo passo. E potrebbero non essere le uniche.