“Trust in the Digital Age”, letteralmente fiducia nell’età digitale: si intitola così uno studio, pubblicato di recente dalla società di sicurezza americana Palo Alto Networks e condotta YouGov, che approfondisce abitudini e comportamenti online e il conseguente livello di protezione percepito e desiderato da un campione di oltre 10mila persone adulte di diversi Paesi dell’area Emea, Italia compresa. Cosa emerge di interessante da questa ricerca? Che più di un quarto degli intervistati, il 26% per la precisione, preferirebbe affidare la propria sicurezza digitale all’intelligenza artificiale piuttosto che a quella umana e che l’Italia è il Paese con il più elevato livello di fiducia nella AI. Dati probabilmente sorprendenti, naturalmente ben accolti da Greg Day, Vp e Chief Secuirty Officer Emea di Palo Alto Networks, pronto a ribadire che “l’intelligenza Artificiale ricopre un ruolo fondamentale nella cybersecurity, aiutando ad individuare e bloccare le violazioni grazie a nuove capacità che il cervello umano semplicemente non è in grado di sviluppare. Ed è per questo incoraggiante vedere una riduzione del divario tra cybersecurity gestita dagli algoritmi e da risorse umane e la crescente accettazione dell’AI a supporto della propria sicurezza”.
L’ostacolo della reticenza al cambiamento. Temi come privacy dei dati ed etica stanno diventando sempre più comuni, si legge nella nota che accompagna la ricerca, e la psicologa Jessica Barker sottolinea in proposito come non ci si deve stupire nel vedere esitazione nell’adottare nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, “perché vi è sempre una certa reticenza ad abbracciare il cambiamento, anche quando si tratta di migliorare la qualità della propria vita. Molte persone – ha aggiunto l’esperta – non sono consapevoli di come AI e machine learning stiano già facilitando il nostro utilizzo della tecnologia, proteggendo i dati e prevenendo gli attacchi cyber. E questo perché lo fanno in un modo non invasivo per gli utenti”. Tornando ai dati dell’indagine, il fatto di sentirsi responsabili della sicurezza dei propri dati è una sensazione condivisa dal 54% degli intervistati mentre per il 25% e per il 28% del campione il compito di assicurare la cybersecurity spetta rispettivamente alle forze dell’ordine e ai governi. “La conoscenza acquisita – ha spiegato ancora Barker – può essere trasferita ad altri aspetti personali e, soprattutto, lavorativi ed è significativo notare come le persone appartenenti a una fascia di età più adulta abbiano un senso di responsabilità più forte rispetto ai più giovani in virtù della loro esperienza e della possibilità di aver seguito corsi di formazioni sulla sicurezza in azienda”.
Senza best practice sicurezza comunque a rischio. Dei 1.021 italiani coinvolti nell’indagine, ben il 38% preferirebbe affidare la propria sicurezza digitale a intelligenza artificiale, algoritmi e macchine intelligenti al cospetto di una media europea del 36% che invece dichiara maggiore fiducia nell’uomo. Cosa spiega questa (forse eccessiva) fiducia? Il 49% dei consumatori nostrani vede nella possibilità di dedicare meno tempo e preoccupazione alla sicurezza dei propri dati la ragione principale (la media europea arriva al 43%) mentre il 40% confessa una certa ansia causata dall’incertezza sui metodi per proteggere i propri dati online. Secondo Mauro Palmigiani, Country General Manager Italia, Grecia & Malta di Palo Alto Networks, il fatto che “questi dati non stupiscono, anche se forse dovrebbero” lascia campo aperto a dei rischi. “In Italia la fiducia nella sicurezza intrinseca alla tecnologia è molto alta, e affidarle la protezione della propria vita digitale è ormai una consuetudine. Questo – spiega il manager – è però pericoloso, perché solo implementando le corrette best practice con la migliore tecnologia automatizzata e orientata alla prevenzione si raggiungono livelli di sicurezza adeguati”. Avvertimento condivisibile, sicuramente, ma intanto gli italiani professano fiducia (almeno a parole): il 55% dichiara infatti di non essere mai stato coinvolto in un attacco informatico e il 60% di dedica tempo e risorse per proteggersi in modo adeguato online. Fra chi, infine, ha subito attacchi, il 10% ha lamentato furto di identità, danni economici e perdita di dati mentre la richiesta di riscatto è arrivata solo all’8% delle vittime degli hacker.