Quando si parla di smart working è facile cadere in fraintendimenti e imprecisioni che rischiano di inquadrare in modo non adeguato un fenomeno ancora agli albori nel nostro Paese ma sicuramente già impattante. Bene, quindi, fare delle doverose premesse, partendo dal definire chi sono gli smart worker: lavoratori dipendenti che godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro, disponendo di strumenti digitali per lavorare in mobilità. In questa definizione rientrano oggi circa 570mila lavoratori italiani, un numero in crescita del 20% rispetto al 2018, e a confermarlo è l’ultima edizione dell’Osservatorio Smart Working della School of Management Politecnico di Milano. Lo studio ci dice inoltre che il lavoro agile è una realtà ormai consolidata in più di una grande azienda italiana su due (il 58% per la precisione) e che un ulteriore 12% di imprese ha già attivato iniziative informali o prevede di farlo nei prossimi dodici mesi. Del restante 30%, la maggioranza dichiara probabile l’introduzione futura e soltanto l’8% non sa se lo introdurrà o non manifesta alcun interesse.
Una piccola impresa su due è disinteressata. Se nelle grandi organizzazioni il rallentamento della diffusione dei progetti di smart working è compensato dall’aumento di maturità delle iniziative (nella metà dei casi si è passati dallo stato di sperimentazione a quello a regime) e della popolazione aziendale media coinvolta (passata dal 32% al 48%), lo scenario che riguarda piccole e medie imprese e pubblica amministrazione. Le Pmi che hanno sposato il concetto di lavoro agile in modo strutturato sono il 12% del totale e un ulteriore 18% ha confermato l’avvio di progetti di smart working informali; cresce per contro in modo significativo anche la percentuale di imprese disinteressate al tema (dal 38% al 51%) e il dato non appare certo come incoraggiante.
La PA si è mossa ma solo per “dovere”. Nel settore pubblico, invece, in un anno sono raddoppiati i progetti strutturati (passando dall’8% al 16%), il 7% delle PA ha attivato iniziative informali (erano solo l’1%ndel 2018) e il 6% le avvierà nei prossimi dodici mesi. Anche in questo ambito, le realtà più avanti nel processo di rendere più flessibile il lavoro sono quelle di grandi dimensioni, che nel 42% dei casi hanno già introdotto piani di smart working strutturati. Nonostante questi dati siano incoraggianti, il ritardo dell’apparato pubblico resta evidente, con circa il 40% di enti che non hanno alcun progetto di smart working in essere, cui si aggiungono un ulteriore 7% di enti che si dichiarano disinteressati al tema. E il fatto che solo il 12% della popolazione aziendale dell’amministrazione sia coinvolto lascia pensare che poco o nulla sia stato fatto e progettato che vada oltre un approccio di mero adempimento normativo.
I benefici e le criticità del lavoro agile. L’ostacolo digitale. In termini generali, tornando al mondo delle imprese, c’è soprattutto un dato che induce all’ottimismo, ed è quello che conferma come i lavoratori coinvolti in iniziative di smart working presentino un grado di soddisfazione e coinvolgimento nello svolgimento delle proprie funzioni molto più elevato di coloro che operano in modalità tradizionale. Il 76% del campione, in particolare, si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti mentre uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui lavora e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il 21% dei colleghi impiegati in modalità tradizionale.
Entrando nel merito più specifico dei benefici percepiti, i principali sono il miglioramento dell’equilibrio fra vita professionale e privata (voce citata dal 46% delle organizzazioni oggetto di indagine) e la crescita della motivazione e del coinvolgimento dei dipendenti (35%). Gestire gli smart worker presenta, per contro, anche alcune criticità: le difficoltà nel gestire le urgenze e nell’utilizzare le tecnologie sono in cima alla lista (rispettivamente) per il 34% e il 32% dei manager interpellati (32%) mentre il 46% dichiara di non aver riscontrato alcuna criticità. Dal punto di vista degli smart worker, invece, la percezione di isolamento è il primo ostacolo evidenziato dal 35% degli interessati, seguito dalle distrazioni esterne (21%), i problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%) e la barriera tecnologica (11%). Il digitale, sembra di capire, non è ancora visto – quando si parla di gestione del lavoro – come quel fattore abilitante che può incidere sull’efficienza dei processi, la produttività aziendale e la soddisfazione degli addetti.