Quarta rivoluzione industriale, era dell’informazione, società liquida: sono tante le definizioni che possono descrivere, magari non compiutamente, il mondo in cui viviamo oggi, a strettissimo contatto con le tecnologie. La trasformazione dettata dalle tecnologie digitali – e questo è un concetto ormai diffusamente recepito – comporta un cambiamento del modo di pensare, lavorare e rapportarsi con gli altri di ciascun individuo. Si può parlare di conseguenza (anche) di rivoluzione neurologica? La domanda fa da cappello introduttivo a un recente rapporto a firma di Cornerstone OnDemand in cui sono stati identificati cinque cambiamenti ai quali il nostro cervello ha dovuto adattarsi, descrivendo come queste mutazioni influiscono sui nostri processi di apprendimento nella vita privata e professionale.
Impazienza e minore capacità ritentiva. Ormai abituato (e molto condizionato si potrebbe dire) all’immediatezza dei social network e di Internet, il cervello crea la necessità di avere e sapere tutto subito. L’aspettativa di imparare molto in poco tempo, si legge testualmente nella nota cha accompagna lo studio, è diventata un trend del tutto generale e gli annunci di nuovi metodi e modelli che permettono di acquisire qualunque competenza senza investire troppo tempo non fanno che aumentare questo problema. Senza considerare che ciò che si apprende rapidamente viene dimenticato con la stessa velocità. Come va combattuta, dal lato delle aziende, questa pretesa di soddisfazione immediata? Optando, secondo gli esperti, per un metodo formativo che sia disponibile e accessibile, adatto alle esigenze delle persone e che garantisca l’apprendimento sul lungo termine. Non serve ricordare dati, numeri, nomi: c’è Internet e lo strumento tecnologico basta e avanza. Per i nativi digitali (e non solo per loro) il Web è diventato una sorta di “memoria esterna” alla quale rivolgetsi per ogni genere di informazioni. In altre parole, la capacità di memorizzare/ricordare non si è persa ma è “semplicemente” caduta in disuso. Se il modo di imparare e trattenere le informazioni è cambiato, devono cambiare, di conseguenza, anche i metodi di formazione e diventa per esempio più efficace offrire agli addetti aziendali percorsi di training in modalità digitale, facilmente accessibili e attraverso modelli particolarmente allettanti, come il gioco. Il risultato cui si può ambire? Ciò che si impara sarà ricordato più a lungo.
Imparare a reimparare e flessibilità.Se c’è un cambiamento che la trasformazione digitale si porta dietro e che le aziende e i lavoratori in particolare temono, questo – secondo lo studio di Cornestone – è l’automazione. Un robot si prenderà carico del nostro lavoro, questa la domanda ricorrente? No, o per lo meno succederà solo per alcune attività ripetitive. Ma è necessario che ogni persona sappia cosa imparare e come impararlo per prepararsi al futuro. Scommettere sulle soft skill e sulle competenze sociali, e quindi competenze che ci differenziano dalle macchine e che non diventeranno obsolete (come invece può avvenire con le conoscenze tecniche) è considerato dagli esperti il metodo più sicuro. Se intendiamo la flessibilità come la capacità di adattarsi a nuovi bisogni di apprendimento e formazione e partiamo dal presupposto che non si conoscono quali competenze saranno necessarie in futuro, si possono analizzare i successi aziendali degli ultimi anni e i nuovi lavori che sono stati creati per avere una linea da seguire e capire quali capacità saranno richieste. Se uno dei temi centrali delle attuali strategie di business aziendali è l’intelligenza artificiale, si può dedurre che i lavori degli anni a venire saranno in qualche modo correlati a questa tecnologica. Come sfruttare a proprio vantaggio questa tendenza? Il segreto, suggerisce il rapporto, sta nell’avere un cervello allenato a essere flessibile, aperto e agile, e di conseguenza più facilmente adattabile al cambiamento e maggiormente preposto ad interiorizzare più rapidamente le nuove discipline e i prodotti che nasceranno.
Sovraccarico. La digitalizzazione rende più facile l’accesso alle informazioni e ci permette di lavorare ovunque e con qualsiasi dispositivo: è da considerarsi un’evoluzione positiva, purché si riesca a capire quando arriva il momento di disconnettersi. Il sovraccarico di informazioni sul nostro cervello riduce infatti la nostra capacità di concentrarci e questo si traduce normalmente in stress da lavoro, con un impatto sicuramente negativo sul funzionamento delle aziende. All’interno di ogni organizzazione sarà quindi molto utile creare una cultura aziendale che si preoccupi del benessere emotivo dei dipendenti, garantendo il rispetto di valori comuni e un ambiente di lavoro positivo, viatico fondamentale per il successo dell’azienda. In definitiva, dicono gli autori dello studio, è importante stabilire un processo di apprendimento continuo, facilitando l’adattamento che mantenga il nostro cervello ai nuovi bisogni del mercato del lavoro. E per i business leader c’è in quest’ottica un compito ben preciso: promuovere un modello di apprendimento agile, dinamico e divertente, capace di risvegliare l’interesse dei dipendenti verso l’apprendimento di nuove competenze.