L’intelligenza artificiale, in Italia, è agli albori. La spesa per lo sviluppo di algoritmi è arrivata nel 2018 a soli 85 milioni di euro e solo il 12% delle medio-grandi imprese ha portato a regime un progetto legato a questa tecnologia (con il 68% di queste che si dice soddisfatta dei risultati ottenuti). In generale, c’è nelle aziende ancora scarsa consapevolezza delle reali opportunità che queste soluzioni offrono ma quello dell’AI è un settore che, a detta di vari esperti, mostra grandi prospettive di crescita, anche grazie a segmenti collaterali come quello dei robot collaborativi impiegati in ambito industriale.
Bilancio occupazionale in attivo. L’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro è uno degli argomenti di maggior discussione: secondo gli autori della ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano (da cui questi dati sono estratti), questa tecnologia è fondamentale per il recupero di produttività della forza lavoro. Entro i prossimi 15 anni, nel dettaglio, ben 3,6 milioni di posti di lavoro equivalenti potranno essere sostituiti dalle macchine ma nello stesso periodo – a causa della riduzione dell’offerta di lavoro (principalmente imputabile per questioni demografiche, ipotizzando continuità sui saldi migratori) e l’incremento di domanda – si stima un deficit di circa 4,7 milioni di posizioni. Il bilancio occupazionale evidenza dunque un disavanzo positivo di circa 1,1 milioni, eppure le ombre non mancano. Lo studio in questione rivela infatti come un terzo delle aziende intervistate abbia confermato di aver dovuto assumere nuove figure professionali qualificate per realizzare soluzioni di intelligenza artificiale e un ulteriore 39% lo ha fatto senza modifiche di organico; per contro poco più di un quarto delle imprese, il 27% per la precisione, ha dovuto ricollocare personale dopo l’introduzione di una soluzione basata su algoritmi.
Tanti interrogativi aperti. In questo scenario (peraltro globalmente diffuso, come ricordano dal Politecnico) di progressiva riduzione della forza lavoro, l’AI appare non solo un’opportunità bensì una vera e propria necessità per mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale, riducendo i costi assistenziali necessari a mantenere gli standard di vita, creando nuovi lavori a maggiore valore, per avvicinarsi all’1,5% di tasso medio annuo di crescita della produttività. Un passaggio dovuto, insomma, se il Paese vuole mantenere invariato, nei prossimi 15 anni, l’attuale equilibrio del sistema assistenziale-previdenziale. Andrà veramente così? E quali sono i volumi di ricollocamento sostenibili da parte delle imprese e, più in generale, del sistema Paese? Domande a cui non è semplice rispondere. L’Osservatorio ha provato a farlo partendo dalla popolazione di lavoratori attiva in Italia, oggi pari a 23,3 milioni di unità (dati Istat), con 12,3 milioni di pensionati, circa 300mila posizioni che non trovano adeguata offerta e un tasso medio di disoccupazione di poco inferiore al 11%. Quindi le proiezioni a 15 anni, quando si dovrebbe materializzare il già citato disavanzo di 4,7 milioni di posti di lavoro equivalenti, di cui 3,6 milioni automatizzabili grazie alla tecnologia.
Lo scenario che si prospetta al Paese è quindi chiaro e lo sintetizza Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence, secondo cui l’intelligenza artificiale, e più in generale la nuova automazione, è qualcosa di necessario se si vogliono mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale. Ma nei prossimi anni servirà anche “pensare a una revisione del sistema contributivo, considerando che il lavoro non sarà più la principale fonte di creazione della ricchezza. E servirà rivedere i sistemi di misura della ricchezza, arrivando forse a includere nuove grandezze come l’esistenza di meccanismi di formazione permanente, di protezione e sicurezza sociale, nonché la circolarità dell’economia”.