“In un mondo in cui ogni giorno di più fa proprie le tecnologie di intelligenza artificiale, la comunicazione e la fiducia restano gli asset su cui gli esseri umani continueranno a distinguersi, anche nel lavoro”. Sergio Borra, Ceo di Dale Carnegie Italia, sintetizza con queste parole le indicazioni di un nuovo studio sull’AI realizzato dalla divisione Research & Thought Leadership del colosso americano del business training (circa 25.000 aziende servite attraverso percorsi formativi per il miglioramento permanente delle performance) presentato in occasione del Wobi On Digital Transformation 2019 di Milano.
I “doveri” dei leader. L’impatto dell’intelligenza artificiale, si legge nella nota che accompagna lo studio, è significativo e in costante crescita e conferma il paradigma secondo cui macchine e persone dovranno collaborare per realizzare appieno il rispettivo potenziale. I progressi consolidati nel campo del machine learning hanno valicato i confini dei processi di produzione e back office del settore informatico, trovando applicazione anche nel marketing, nella finanza, nelle risorse umane e nel management. Per le aziende questo significa, fra le altre cose, l’impegno di formare i collaboratori per il lavoro di un futuro che è già prossimo. Quale strada devono quindi seguire i leader per assicurare competitività alle proprie organizzazioni affrontando la rivoluzione in atto? Il primo compito dei senior manager, oggi, è quello di pianificare l’innovazione e influenzare positivamente la cultura aziendale, per mantenere i propri collaboratori motivati e coinvolti durante il processo di cambiamento. Alla paura di perdere il lavoro e alla resistenza di fronte al cambiamento (dettato anche dall’avvento dei robot e dei chatbot), le aziende devono rispondere lavorando sulla fiducia interna dei propri dipendenti e sulla consapevolezza delle nuove prospettive legate all’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
I numeri della ricerca. Condotta nel gennaio di quest’anno, l’indagine ha interessato oltre 3.500 fra Ceo, figure apicali dell’organizzazione e collaboratori di 11 Paesi del mondo, dagli Stati Uniti a Taiwan passando per l’Italia. Fra le principali risultanze emerse, spicca il fatto che il 44% degli intervistati su scala globale si aspetta che l’intelligenza artificiale cambierà radicalmente il modo in cui lavoreremo e vivremo nei prossimi dieci anni (mentre il 38% non è d’accordo su questa linea o non si esprime). In Italia prevale un atteggiamento più prudente, considerato che la percentuale scende al 33%, per quanto arrivi all’81% la fetta di intervistati italiani che si aspettano cambiamenti alquanto o altamente positivi.
Nella fase di transizione a cui ci si prepara, recita ancora il rapporto, sono le soft skill – più che le mere competenze tecniche – ad essere considerate cruciali, e fra queste spiccano in particolare la comunicazione (citata nel 62% dei casi a livello globale e nel 58% in Italia) e la creatività (61% nel mondo e 58% su scala nazionale), mentre la leadership è molto considerato a livello internazionale (45%) e decisamente un po’ meno in Italia (la percentuale scende al 29%).
Per quanto riguarda gli impatti positivi che l’integrazione delle soluzioni basate su intelligenza artificiale produrrà in termini di cultura aziendale e fiducia, i Ceo sembrano più ottimisti rispetto agli altri livelli aziendali e più precisamente il 76% degli amministratori delegati su scala mondiale ne ritiene probabile l’utilizzo da parte degli addetti aziendali per pianificare e preparare un percorso di carriera. Molto più cauti, sullo stesso argomento, si sono dimostrati i diretti interessati, e cioè i collaboratori, che si esprimono positivamente sulla questione solo nel 41% dei casi (nel 44% in Italia). Questa distanza di prospettiva, osservano gli autori del rapporto, indica che queste due anime dell’azienda devono dialogare, soprattutto in una fase di passaggio cruciale come quella in corso. “Le persone – ha aggiunto Borra in proposito – vanno oltre la logica dei dati, e per questo motivo nei processi di cambiamento il loro coinvolgimento è fondamentale per nutrire un asset fondamentale come la fiducia. In un mondo interamente connesso – ha concluso – la connessione più importante rimane quella umana”.