Siamo nel bel mezzo di un cambiamento che viene addirittura chiamata trasformazione. Una trasformazione che parte dal digitale. L’innovazione guida le aziende a modificare i propri sistemi, i propri processi, le proprie strutture ed i propri organici.
Le competenze richieste sono in totale rivoluzione, eppure, una gran parte di noi continua a cercare lavori che tra qualche anno non ci saranno più, a formarsi su competenze che non saranno più necessarie o ancor peggio ad aggrapparsi a posizioni che stanno scomparendo. Ci arroghiamo il diritto di pensare che qualcuno nei Consigli di Amministrazione o tra gli Amministratori Delegati ci proponga una soluzione senza muovere un dito, come se il posto di lavoro fosse un diritto acquisito, come se dopo anni di fatica e sudore ci meritassimo, anzi, avessimo un diritto acquisito verso la sedia sulla quale stiamo seduti. Pensiamo che possano essere gli altri, i top manager o i sindacati a tutelare il nostro stipendio di fine mese per il semplice fatto che le aziende sono fatte di persone e quindi senza di noi non possono esistere. Purtroppo, tutto questo ci rende ciechi rispetto a quella che è la nostra stessa responsabilità e non fa chiarezza su un quadro abbastanza nitido della realtà che ci circonda: nessuno può garantirci il nostro posto di lavoro, né oggi, né domani. Nessuno, a parte noi.
Il posto fisso, comicamente stereotipato da Checco Zalone nel film Quo Vado, ha le ore contate. Non possiamo appoggiarci al mito azienda perché le stesse aziende devono ancora comprendere come sopravvivere in un mondo fatto di incertezze. Non possiamo aspettare che tutte le aziende siano lungimiranti nell’offrirci la formazione necessaria alla nostra riqualificazione e non possiamo pensare che qualora abbiano la possibilità di investirci ci diano la possibilità di farlo nel nostro orario di lavoro. Se vogliamo mantenere la nostra employability dobbiamo investire personalmente nella nostra formazione: imparando, disimparando e reimparando, continuamente.