Sei in cerca di lavoro e dimostri di avere esperienza nel trattare i dati? Potresti presto superare nelle selezioni i candidati che si presentano al colloquio con un titolo di studio specializzato in “scienze dei dati”. Non è un annuncio pubblicitario di una qualsiasi impresa in cerca di personale ma quanto emerge da una recente ricerca condotta su scala globale tra decisori aziendali di vario livello e commissionato dalla società specializzata dalla società americana Qlik nell’ambito del proprio Data Literacy Project.
Il dato di partenza per comprendere quella che a tutti gli effetti si può considerare una tendenza è il seguente: quasi due terzi degli intervistati, il 59% per la precisione, hanno classificato come indicatore principale del livello di alfabetizzazione in ambito dati di un candidato una sua precedente esperienza lavorativa o il superamento di un test in cui lo stesso era chiamato a risolvere un problema aziendale per dimostrare le proprie capacità nel gestire le informazioni. Al contrario, solo il 18% considera una laurea o un master in scienze dei dati acquisita dopo il college (o addirittura un dottorato di ricerca) un elemento decisivo per l’assunzione. Affacciarsi al mondo del lavoro con in tasca una laurea di “data scientist”, insomma, potrebbe non essere sufficiente per trovare un impiego.
Un esercito di 110mila candidati. Le migliori prospettive di carriera associate ai dati, si legge infatti nella nota che accompagna lo studio, non sono limitate a coloro che hanno alle spalle un percorso di studi specifico. Ed è quanto rilevò l’anno passato il blog specializzato Glassdoor, confermando come un numero crescente di aziende tecnologiche (Google fra queste) non si faccia più influenzare dalla laurea nella scelta dei candidati. “Ciò che cerchiamo – ha detto in proposito Lee Raybould, Chief Data Officer presso Nationwide Building Society – sono persone curiose, appassionate di fare la cosa giusta e disponibili a utilizzare i dati per trovare intuizioni che supportino migliori risultati aziendali, persone pronte a interagire con i dati e a comprendere come utilizzarli e interpretarli per supportare il processo decisionale, indipendentemente dal loro ruolo lavorativo”. Dallo studio di Qlick si evince inoltre come siano il 63% le aziende in grado di offrire buone opportunità e di essere attivamente alla ricerca di figure in grado di dimostrare le proprie competenze nell’utilizzare, lavorare e analizzare i dati. Una preferenza che va riflessa in un dato emerso da un rapporto di Ibm secondo cui candidati pronti a svolgere compiti legati all’analisi dei dati rappresenteranno circa un terzo del mercato del lavoro, con 110mila posizioni aperte stimate entro il 2020 e un aumento del 14% dal 2015, e le posizioni nell’area Dsa (Data Science and Analytics, che include data scientist, analisti di dati, analisti aziendali e responsabili del marketing esperti di dati) sono tra le più difficili da coprire e rimangono generalmente “aperte” per 45 giorni.
Formazione questa sconosciuta. Solo il 24% degli intervistati, dice ancora il rapporto di Qlik, si sente però sicuro delle proprie capacità di trattare i dati mentre un interessante chiave di lettura del fenomeno arriva dagli indicatori che seguente: mentre non tutti i leader aziendali intervistati sono a conoscenza di come la loro azienda remuneri i dipendenti esperti di dati, il sondaggio ha rivelato che il 75% di coloro che sono in grado di accelerare la politica della propria azienda ha riferito di pagare salari più alti ai dipendenti con la capacità di leggere, analizzare e discutere con i Big Data. Per contro, pur riconoscendo il valore dell’esperienza maturata sul posto di lavoro e le certificazioni in ambito dati, la metà delle aziende ha dichiarato di non fornire formazione sull’alfabetizzazione dei dati ai propri dipendenti, e solo il 34% ha dichiarato di avere programmi in atto in questa direzione nonostante il 78% dei dipendenti a livello globale affermi di essere disposto a investire più tempo ed energie per migliorare il proprio set di competenze. “I risultati dello studio – questo il comment di Jordan Morrow, Head of Data Literacy di Qlik e Presidente del Data Literacy Project – sono inequivocabili: i benefici per la carriera associati all’alfabetizzazione dei dati sono un’opportunità universale perchè le organizzazioni stanno comprendendo sempre di più che il vantaggio di trasformare in valore per prendere decisioni migliori. E questo si traduce in maggiori opportunità per gli individui alfabetizzati”.