Quali strategie è meglio adottare per un utilizzo dei dati rispettoso e responsabile, che non urti la “sensibilità” dei propri clienti? Per i responsabili marketing, saper rispondere a questo interrogativo diventa quanto mai importante in relazione alla sempre maggiore pervasività del digitale e di relazioni brand-cliente sempre più fondate su interazioni condotte online e in modo virtuale. Lo studio “Consumer Pulse Survey 2019: See People, Not Patterns”, condotto da Accenture Interactive su un campione di 8mila consumatori di tutto il mondo (Italia compresa), è entrata nel merito di questa tematica per capire le modalità attraverso le quali i marchi stanno creando progetti di successo attraverso le campagne pubblicitarie digitali, evitando il rischio di trasformare una comunicazione utile in un messaggio inopportuno.
Il dato forse più importante, e per certi versi sorprendente, emerso dall’indagine è il seguente: il 69% dei consumatori che hanno ricevuto comunicazioni invasive, che sono il 30% del totale (il 25% nel nostro Paese), si dichiara pronta ad abbandonare i brand e tale percentuale sale al 76% per quanto riguarda lo scenario italiano. Il 71% di questo cluster (il 62% nel nostro Paese) spiega quanto successo con il fatto che il brand in questione avesse informazioni su di loro o sulla loro famiglia, e che non fossero state condivise direttamente da loro.
Dati in cambio di trasparenza. Nel venticinquesimo anniversario dalla comparsa di uno dei primi banner pubblicitari digitali ecco scattare una sorta di allarme rosso per le aziende. “I principali marchi leader – spiega Alessandro Diana, responsabile di Accenture Interactive per l’Italia – utilizzano oggi i dati per rendere le relazioni con i clienti rilevanti e soprattutto significative, con lo scopo di creare esperienze personalizzate nel rispetto della privacy e nella consapevolezza che c’è un confine da non valicare: quello tra inventività e invadenza”. Esiste, secondo il manager di Accenture, una grande opportunità di adottare un approccio più equilibrato per l’utilizzo delle informazioni dei propri clienti e questa va sfruttata, “creando una customer experience di grande impatto, basata sulla fiducia e sul legame emotivo con i consumatori”.
La riprova di questa visione arriva dalla ricerca, secondo cui circa il 73% dei rispondenti su scala globale (l’83% se si guarda all’Italia) è disposto a condividere più informazioni personali a patto che i brand siano trasparenti sul loro utilizzo e offrano esperienze di valore in cambio dei loro dati. E va proprio in questa direzione la sperimentazione di soluzioni tecnologiche avanzate in grado di simulare il comportamento umano e gestire la relazione con i consumatori in maniera più empatica, nei limiti del rispetto e dell’etica.
“Data gathering” sì, ma non troppo. Un altro indicatore emerso dallo studio ci conferma la tendenza che vede gli utenti essere molto interessati ad essere riconosciuti e capiti dai brand; l’87% dei consumatori (il 90% in Italia) ritiene infatti importante poter acquistare da marchi o retailer che capiscano veramente chi essi siano. C’è, per contro, una giustificata preoccupazione sul fronte della privacy: più del 75% delle persone intervistate (il 63% degli italiani) dice di non trovarsi a proprio agio con la raccolta di dati tramite microfono o assistente vocale e il 51% pensa che la pubblicità invasiva sia in aumento. I consumatori vorrebbero quindi essere trattati in modo olistico e veder migliorare la loro esperienza: per nove su 10 è importante che ogni interazione con i brand sia “eccellente” e per raggiungere questo obiettivo questi ultimi dovrebbero concentrarsi sulle esperienze dell’utente e sulle interazioni sviluppate nel corso di tutto il customer journey, dai siti alle app fino al negozio fisico.
Cosa fare per non rovinare la “reputation”. I dati raccolti e il modo in cui vengono utilizzati, assicurano gli esperti di Accenture Interactive, sono fondamentali per plasmare le esperienze dei clienti, esperienze in cui il consumatore non può non autorizzare la raccolta o l’utilizzo dei propri dati. Vi sono quindi alcune scelte che in ambito tecnologico possono aiutare le funzioni marketing a rispondere alle istanze delle persone e riguardano, in ordine sparso, la possibilità di incoraggiare i consumatori ad autenticarsi su siti Web e applicazioni mobili, di trasferire i contratti di tecnologie legate all’advertising in azienda e accedere di conseguenza a metodi di raccolta dati più efficaci e trasparenti e di costruire, infine, l’architettura dei dati dei sistemi aziendali in modo che possa riflettere le normative vigenti. In materia di advertising e di protezione della privacy, non va ovviamente dimenticato, c’è un regolamento europeo (il Gdpr) da rispettare e a cui attenersi. Il percorso per evitare di essere invasivi, e di essere abbandonati dai propri clienti, parte da qui.