Per ogni azienda, attrarre i lavoratori più talentuosi è davvero molto difficile, ma è ancora più complicato riuscire a trattenerli e a garantire loro l’appropriato sviluppo di carriera. E’ una sfida per l’Italia. Ma è una sfida anche a livello globale, soprattutto negli Stati Uniti dove l’unemployment rate è basso e quindi il mercato gioca un ruolo importante in termini di competitività sia salariale, sia di opportunità professionale.
Promuovere talenti. E’ sempre più cruciale, dunque, avere una politica di gestione e promozione dei talenti ben definita, senza mai tralasciare la cura del benessere di dipendenti e collaboratori. “Le aziende – dichiara Maura Nespoli, Vp Global Talent Acquisition, Talent management and People development di Prysmian Group – devono farsi trovare pronte. Sono rientrata in Italia da due anni e noto con piacere che il nostro paese ha fatto grossi passi in avanti per incontrare i bisogni dei dipendenti e limitare la fuga delle persone di talento. Oggi, soprattutto per quel che riguarda i talenti più giovani, la partita si gioca al di fuori dei confini nazionali e questo aspetto non può essere ignorato”.
Gli elementi vincenti. Per vincere questa sfida le aziende devono puntare su tre fattori che, se combinati in maniera efficace, permettono di soddisfare le esigenze dei collaboratori, indipendentemente dal loro ruolo e dal livello di seniority: valori e cultura (garantire un ambiente nel quale le persone si sentano libere di esprimersi e nel quale si sentano valorizzate); flessibilità (offrire un contesto che permetta elasticità di orari, locations e mobilità, ove possibile); opportunità di sviluppo (stabilire piani di crescita e di formazioni sul medio-lungo periodo affinché per tutti esistano occasioni di stimolo e miglioramento).
Fidelizzare i dipendenti. “Dobbiamo – aggiunge Nespoli – imparare a fidelizzare dipendenti e collaboratori, proprio come facciamo, da sempre, con i clienti. Ma non dobbiamo pensare che sia solo una questione di retribuzione, anzi. Questo aspetto è certamente importante, ma in qualche caso può non essere sufficiente. Io credo che l’Italia, in termini di capacità di trattenere i talenti, paghi un ritardo rispetto all’estero, probabilmente anche a causa della sua storia sia economica sia culturale. Se quindi non vogliamo perdere le persone di valore, è necessario ora dare un’accelerata in questa direzione e ragionare, sempre di più, in ottica di talent retention e di employee engagement”.