Maria Rita Fortunato. Laureata in psicologia, con una specializzazione in psicologia del lavoro e in psicodiagnostica, Maria Rita ha lavorato nelle direzioni del personale di Agos (gruppo Montedison), Atesia (Telecom Italia), Geyser 3, EDA (Enterprise Digital Architects), Ondulit e nel ruolo di General Manager per Casagit. Prima di entrare in NexumSTP è stata per dieci anni direttore personale e organizzazione di Eustema Spa oltre ad aver coordinato e gestito progetti innovativi relativamente a tematiche di HR transformation, performance management, change management, talent management, compensation&rewarding. Con una significativa esperienza nell’implementazione di piani di ristrutturazione aziendale, Maria Rita Fortunato è anche docente presso la Scuola Romana di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni di Roma nel master per HR specialist nel laboratorio di Valutazione e sviluppo. Nell’intervista, Maria Rita ci racconterà come le aziende stanno affrontando la situazione Coronavirus e quali novità, introdotte a causa dell’emergenza, potrebbero diventare strutturali nel mondo del lavoro.
NexumSTP, società tra professionisti, nasce dalla fusione di alcuni dei più prestigiosi studi di consulenza fiscale e del lavoro italiani, capace di declinare l’appartenenza alla tradizione di cultura e di valori degli ordini professionali in modo innovativo e dinamico. NexumSTP occupa il 61° posto della classifica annuale FT 1000 delle società in più rapida crescita in Europa realizzata dal Financial Times.
Come ha reagito il mondo delle Risorse umane al Covid -19? In particolare, come si configura il ruolo dell’Hr in questo particolare momento? Questo periodo è stato particolarmente critico per il mondo delle Risorse umane. Il ruolo dell’HR è stato cruciale nel dover conciliare e rendere efficaci oltreché coerenti, tutte le attività necessarie a far fronte all’emergenza pandemica. Il Covid-19 ci ha costretto a ripensare l’assetto strutturale di aspetti fondamentali per le aziende: dalla messa in sicurezza dei lavoratori al loro supporto psicologico, dalla comunicazione interna ed esterna alla logistica, fino all’infrastruttura tecnologica. Nonostante la mia lunga esperienza professionale, il periodo della pandemia ha rappresentato una nuova sfida di critica complessità, con la quale ho dovuto fare i conti in qualità di HR. Il mio ruolo si è trovato al centro dell’emergenza, esattamente come lo erano le persone. L’individuo, la sua fragilità, la sua paura dell’imprevedibile, lo stress conseguente, il superamento dei confini privati e professionali sono aspetti che prima di questa emergenza abbiamo sempre e solo tanto raccontato. La pandemia ha veramente e finalmente posto l’attenzione al lavoratore considerandolo come “persona” in tutte le sue esigenze e non solo per ovvi motivi di sicurezza e tutela della salute.
Quali sono le buone pratiche adottate dai Direttori del Personale durante la pandemia ma che rimarranno a far parte della vita delle aziende anche nella fase post-emergenza? Immaginare, in un tempo come questo dove le previsioni sono solo un’illusione, quali saranno le “buone pratiche” che rimarranno, è assai difficile. Le circostanze che stiamo vivendo hanno generato nuove consapevolezze e nuove esigenze. Da qui l’acquisizione di lezioni che certamente influenzeranno i comportamenti delle persone e imporranno la revisione dei drivers di gestione. “Nessuno si salva da solo” è il motto che ha sostituito il “faccio ciò che voglio”, tipico di una visione di libertà proprietaria. Suppongo e auspico che questa visone sia duratura nel tempo e che sopravviva e non decada davanti alle previsioni di un eventuale e “salvifico” vaccino. Senso di comunità, solidarietà, sicurezza, sostenibilità ambientale e vicinanza, rigorosamente a distanza (sembra un ossimoro ma non lo è), sono diventati concetti quotidiani nel lessico delle attività lavorative, ma necessitano ancora del tempo per essere accolti oltreché accettati nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda la selezione del personale, in futuro si preferiranno colloqui in modalità on line? Quali potranno essere i vantaggi da cogliere e le criticità da affrontare? Lo sviluppo tecnologico ha avuto un certo impatto nei processi di recruiting anche prima della pandemia. Sono certa però che in futuro diventerà ancor di più un valido strumento nelle modalità di selezione che stanno subendo una netta revisione. L’intervista on line rappresenterà un’evoluzione inevitabile: ottimizza il tempo e favorisce l’introduzione di step selettivi che esulano dal colloquio in presenza. Ci tengo a sottolineare che nonostante il successo e il progresso tecnologico, non si può né si deve prescindere da una fase di contatto diretto di incontro. È proprio in questa fase che reciprocamente ci si scambia e ci si conferma quanto trasferito on line. Per intenderci, come dice Luciano Floridi: non esiste più on line e off line, oggi siamo tutti ONLIFE.
Uno degli impatti più significativi dell’emergenza Covid sul mondo del lavoro è stato l’ampio ricorso allo smart working. Crede che questa modalità di lavoro si stia slegando dalla congiuntura per diventare una forma sempre più strutturale? Cosa ci attende da questo punto di vista nel post-covid? È servito un virus sconosciuto a rendere il 15% dei lavoratori (circa 8 milioni) smart worker, dopo 40 anni di timidi tentativi di applicazione del lavoro agile ed una legge dedicata: l’81/2017. La realtà è che i nuovi smart worker sono più home worker ma quel che conta è che determinate prerogative dell’attività di lavoro, considerate imprescindibili e immodificabili, sono crollate. Sto parlando del tempo di lavoro e il luogo di lavoro. Lo stile di gestione ha dovuto forzosamente rinunciare al comando e al controllo, virando sull’autonomia e sulla delega. Sono concetti assolutamente nuovi e innovativi che per gli HR rappresenteranno un lunghissimo lavoro di ripensamento dello stile manageriale. Lo smart working richiede strumenti che ci consentano non solo di lavorare “smart” ma anche di lavorare bene: lavoro agile e obiettivi smart. Siamo stati costretti dall’oggi al domani a doverci organizzare per diventare digitali, ma non dimentichiamoci che la tecnologia oltre ad essere un complemento necessario allo svolgimento del nostro lavoro è un valido supporto e necessita di competenze affinché diventi anche efficace. In Nexumstp consideriamo lo smart working non un evento congiunturale ma un fenomeno strutturale, sul quale stiamo rivedendo l’organizzazione e i processi di lavoro. Stiamo infatti investendo in tecnologia digitale e fornendo alle persone la formazione e il supporto necessario per affrontare consapevolmente il cambiamento già in atto.
Crede che ci saranno delle importanti ripercussioni, a livello occupazionale oltre che economico, per quanto riguarda la vicenda che stiamo affrontando? Quali sono i rischi maggiori ai quali andiamo incontro? Il rischio maggiore a mio avviso è rincorrere gli eventi anziché precederli. Se dovessimo trovarci ad affrontare sfide più difficili di questa o un nuovo lockdown, non possiamo e non dobbiamo trovarci ancora una volta disorientati e in balia degli eventi. Servono misure efficaci che ci preservino dallo stato di smarrimento in cui ci siamo trovati. È il motivo per cui credo che molti mercati e di conseguenza molti ruoli dovranno riprogettare il loro modello di business, considerando la digitalizzazione come condizione e non più come scelta. Sarà altresì necessario rivedere i modelli contrattuali, la formazione dovrà diventare centrale nelle agende italiane ed europee dei prossimi anni.
Quale dovrà essere il profilo dell’Hr del futuro? L’HR del futuro prossimo dovrà cogliere l’opportunità di questo periodo buio ed incerto della pandemia per focalizzare la sua attività sull’essenziale in termini di persone e di organizzazione. L’approccio da adottare dovrà essere inclusivo e teso a valorizzare le differenze esistenti. Cruciale sarà la capacità degli HR di comprendere i lavoratori come persone aventi paure ed esigenze, di mettersi in gioco sotto nuove luci e di pensare “out of the box”. La sfida sarà considerare obsoleti quei modelli che oggi non descrivono la realtà e non illudersi di poter ripristinare la “vecchia normalità”: è inutile pensare di poter risolvere nuovi problemi con i presupposti che li hanno generati.
Descriverei brevemente i drivers HR dedicati alle persone e all’organizzazione in termini di imparare a disimparare, lasciare andare ciò che non funziona più, incentivare una leadership empatica e sviluppare le competenze digitali di tutti a prescindere dall’età anagrafica.
La crisi che stiamo vivendo dimostra che non si può tornare sulla strada che abbiamo sempre percorso, secondo il World Economic Forum si rischierebbe di veder aumentare il rischio di burnout per un collaboratore su quattro, con un conseguente calo di produttività fino al 35%.
Sul versante organizzazione gli HR dovranno diventare “data driven” costruendo all’interno del team capacità di analisi dei dati. L’intelligenza artificiale faciliterà la gestione del volume dei dati del dipartimento HR e l’integrazione tra le caratteristiche delle persone e l’organizzazione. In un momento di transizione, il nuovo ruolo di HR “Digital “come responsabile della sintesi di flussi di dati diversi (come le indagini sui dipendenti, i sistemi di gestione dell’apprendimento e i portali dei benefit), potrà contribuire a risolvere le criticità aziendali migliorando le prestazioni dei dipendenti e i risultati aziendali.