Non ci poteva essere momento di maggiore attualità di questo per un libro sull’incompetenza della classe dirigente. Nel nostro Paese da decenni è in atto un lento ma progressivo processo di degrado che ha marginalizzato il merito e che sta premiando persone prive delle necessarie competenze per sedere sulle poltrone conquistate.
I cittadini dimostrano ormai di non avere più alcuna fiducia nelle istituzioni perché queste non rispondono più ai bisogni delle persone e alle ragioni alla base della loro stessa esistenza. Questi malfunzionamenti sono nella maggioranza dei casi da imputare a una dilagante incompetenza, non solo della classe dirigente apicale, ma anche di tutti coloro che esercitano un potere discrezionale. Il merito sembra sia ormai stato soppiantato dalla logica delle cordate e del tirare a campare. Il dominio incontrastato dell’ignoranza sta portando il Paese all’inazione.
Nel 1991 l’Italia era la quarta potenza più industrializzata al mondo dopo USA, Giappone e Germania. Alla fine della prima repubblica eravamo stati superati da Francia e Regno unito, ma potevamo dire di essere ancora un perno dello sviluppo mondiale. Oggi siamo al decimo posto e tra breve perderemo anche quello. Una volta l’ignoranza era un limite da cercare di superare, talvolta addirittura motivo di vergogna e scherno, oggi in molti casi diventa addirittura elemento di vanto.
Sinonimo di schiettezza e sincerità, di “vicinanza al popolo”. Naturalmente occorre premettere che ognuno di noi è ignorante, nel senso che in noi tutti sono più le cose che ignoriamo di quelle che conosciamo. L’importante, però, è essere consapevole dei propri limiti, possedere quella che il filosofo Nicola Cusano chiamava la “dotta ignoranza”: la persona saggia, consapevole di quanto minuscola sia la fascia del noto rispetto all’immensità di ciò che è ignoto, assume come proprio unico titolo di privilegio il «sapere di non sapere», alla maniera di Socrate e di altri saggi dell’antichità. Siamo purtroppo distanti dal clima culturale oscurantista che talvolta viviamo nel nostro Paese.
Le cause di questo sono molte e partono da lontano. Prima di tutto dobbiamo constatare il progressivo deteriorarsi del sistema scolastico, dimenticato negli ultimi decenni, gestito per lo più da insegnanti demotivati e genitori improvvidi. I test Invalsi, pur con tutti i loro limiti, hanno evidenziato uno scadimento dell’istruzione nel suo complesso che avrà pesanti ripercussioni nel Paese per ancora molti anni. L’analfabetismo funzionale ha toccato livelli che non ci possono non preoccupare molto seriamente. Una seconda causa risiede nell’altro luogo educativo per eccellenza, la famiglia. Il modello di famiglia tradizionale, di stampo paterno – normativo, ha lasciato il passo ad un modello materno – relazionale, dove si predilige il principio di piacere anche a scapito del principio di realtà.
L’asticella si è progressivamente abbassata e sono cambiati i valori di riferimento. Internet sta giocando un ruolo fondamentale nello strapotere dell’ignoranza. Grazie alla rete chiunque crede di poter sapere tutto perché le informazioni sono a portata di mano. Ognuno si sente autorizzato a dire la sua su qualsiasi cosa e, come nel telefono senza fili, ogni notizia viene distorta. Come diceva Umberto Eco a proposito dei leoni da tastiera: “Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Il merito e il lavoro hanno perso la loro centralità culturale, politica e fattuale. Sembrano concetti superati, da archiviare definitivamente. Il volume non si limita a denunciare le cause, ma propone soluzioni e condotte da seguire. Il testo è originale, ironico e molto gradevole. Si legge d’un fiato anche se pieno di riferimenti culturali. A questo proposito, è da segnalare l’interessantissima intervista finale al noto filosofo Umberto Galimberti, che impreziosisce le analisi contenute nel volume.