Il 26 marzo 2019 a Roma, presso il Salone delle Fontane all’EUR è stato presentato il Rapporto – promosso da Generali Italia con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni – che ha analizzato i risultati della quarta edizione del Rapporto Welfare Index PMI, l’indagine più completa sul livello di welfare aziendale nelle piccole e medie imprese cui hanno partecipato 4.561 Pmi italiane.
Nel 2019 le imprese Welfare Champion, che hanno ottenuto le 5 W del rating Welfare Index PMI, sono salite a 68 (più che triplicate rispetto al 2017). Si tratta delle realtà caratterizzate dal sistema di welfare più ampio (per numero di aree attivate) e che si contraddistinguono per numerosità e intensità delle iniziative, grado di coinvolgimento dei lavoratori e impegno economico e organizzativo nel welfare aziendale. Dal 2016 al 2019 le PMI molto attive sono passate dal 7,2% al 19,6%.
Il successo dei progetti nasce dall’ascolto dei dipendenti. Le imprese che hanno più successo sono quelle che sviluppano il welfare come un progetto strategico che parte dall’ascolto delle esigenze dei dipendenti per individuare i bisogni principali dei lavoratori e delle loro famiglie e concentrare le iniziative sugli obiettivi con il più alto impatto sociale.Per questo è importante il coinvolgimento, per definire le priorità e progettare iniziative aziendali il cui valore sia evidente. Abbiamo già osservato che le imprese più attive sono quelle in cui è cresciuta maggiormente la consapevolezza dei propri obiettivi sociali. Queste imprese si sono differenziate anche per il modo in cui hanno gestito le iniziative, curando maggiormente il coinvolgimento dei lavoratori: 71,2% contro una media del 51,6%. Ciò determina due conseguenze importanti: le stesse imprese riscuotono dai propri dipendenti un maggiore gradimento (55,4% contro una media del 33,4%), e ottengono risultati di business decisamente migliori. Le aziende molto attive hanno infatti registrato effetti positivi del welfare aziendale sulla produttività del lavoro nel 63,9% dei casi, contro una media del 36,3%, e sull’immagine e sulla reputazione aziendale nel 72,5% dei casi, contro una media del 42,4%.N