Capisci cosa offrire di piccolo ma straordinario alle persone straordinarie della tua rete. Sono riuscito a cogliere molte delle opportunità della mia vita grazie alla cura dei contatti nei primi anni in cui mi sono tuffato nel mondo del lavoro. Non sapevo nemmeno che ciò in cui mi impegnavo si chiamasse “networking”, lo facevo e basta. Cercavo di cogliere esigenze da persone più autorevoli di me, capendo come essere loro di utilità, alimentando una rete di contatti sana. “Fare networking” per me significa offrire parte del proprio tempo, anche non retribuito, per aiutare persone a sviluppare progetti e coinvolgerne altre per offrire contributi.
Un esempio? Nel 2010 ero Social Media Manager per Cesop, un’agenzia di comunicazione ed employer branding attiva nella gestione dei Job Meeting, un grande network di fiere del lavoro. Ho iniziato a dedicare parte del mio tempo contribuendo alla stesura di articoli per il sito jobmeeting.it, e ho cercato di dare il massimo entrando in contatto persone del calibro di Marco Montemagno, Paolo Iabichino, il fondatore di Yoox Federico Marchetti e l’allora responsabile Corporate Communication di Google Italia, Alessio Cimmino. Qualcuno lo intercettavo partecipando a eventi in cui sapevo che li vedeva protagonisti come relatori, a volte riuscivo a contattarli attraverso i social. Ero un perfetto sconosciuto per loro, ma avevo un piccolo dono da offrire: un’intervista su un sito autorevole. Non chiedevo altro che rispondere a poche domande mirate. Mi hanno risposto tutti di sì. Da alcuni di quei contatti sono nate diverse opportunità che hanno guidato i miei anni a venire.
La potenza della Network Inclusion. Un mio conoscente lavorava come informatico in una grossa azienda. Era abbastanza soddisfatto. Come ripeteva: “non mi posso lamentare”. Eppure, aveva un cruccio. Avidissimo lettore, una sera mi confidò che avrebbe desiderato lavorare nel mondo dell’editoria: “quel mondo, fatto di pura conoscenza, i saggi, i romanzi, mi appassiona.” Dopo un anno di indugi, inviò il curriculum ad alcune grandi case editrici. Una casa editrice lo contattò, in quanto volevano sviluppare un software di podcast e audiolibri digitali. Cercavano un informatico con esperienza, tanto meglio se appassionato di editoria. Accettò. La sua passione gli permise di colmare in poche settimane le lacune sull’editoria, dimostrando tra l’altro quanto un appassionato apprenda in velocità senza per forza perdere in profondità. E la storia potrebbe finire qui. Senonché, la parte più interessante arrivò qualche mese dopo.
Il progetto iniziò a prendere quota. Servivano altre risorse: designer esperti di usabilità, digital marketer, sviluppatori di app. Il mio amico si rese conto che poteva attingere ai suoi contatti del recente passato. Faceva parte di diverse community di informatici, su LinkedIn aveva centinaia di contatti tra ex colleghi ed ex compagni di università: inviò l’offerta di lavoro ai diversi legami deboli con le competenze giuste, o che conoscevano qualcun’altro con tali capacità. La sua rete si attivò subito: il giorno dopo arrivarono alla casa editrice decine di curriculum validi. Tutti, lui compreso, si stupirono del risultato. Come capii più tardi, non aveva fatto altro che esprimere ciò che oggi mi piace chiamare Network Inclusion, ovvero la condizione fisiologica in cui si trovava: un centro nevralgico tra settori distanti o diverse culture, capace di fare da ponte tra persone di network lontani.
Non importa tanto chi conosci, quanto “dove” conosci. Secondo il fondatore di LinkedIn Reid Hoffman, i professionisti-ponte sono i profili più interessanti che si possono trovare: “mettiti a cavallo tra diversi giri di conoscenze, dopodiché fai da ponte cosicché i tuoi amici possano passare da uno all’altro. Sei in grado di sviluppare esperienze in due o più campi diversi, per poi fare da ponte per coloro che appartengono a un giro e sono interessati ad accedere a un altro? Se lo farai, sarai straordinariamente utile”. Come ha spiegato il ricercatore Stowe Boyd: “questa è la struttura profonda dell’essere veramente connessi: fare da ponte tra diverse scene sociali. Non importa tanto chi conosci, quanto dove conosci. It’s not who you know, it’s where you know”.
Articolo a cura di Marco Vigini e Giulio Xhaet