La domanda che di norma i ragazzi del quinto superiore si sentono porre – e che di conseguenza finiscono per porre a sé stessi – è: dove andrai all’università? Ovviamente parliamo di coloro che hanno deciso di andare all’università. Nulla di più sbagliato! Perché è sbagliato? Perché in questo modo si confonde il fine con il mezzo: si sceglie prima l’università, la facoltà, per poi rinviare la scelta del lavoro ad un secondo momento, cioè al termine del percorso universitario. Che a volte coincide con la laurea triennale, altre volte con la specialistica; spesso il ragazzo sceglie quest’ultima opzione, più lunga, magari proprio perché continua a non avere chiara la professione da intraprendere, per poi ritrovarsi con una laurea specialistica e con le idee più confuse di prima. E intanto passano gli anni e, per un mercato del lavoro sempre più dinamico ed esigente, chi più tardi arriva, peggio alloggia. Del resto, quasi ogni anno nascono nuove professioni e ne muoiono altrettante, il che rende tutto più complicato per chi si trova al momento di dover decidere del proprio futuro.
Le idee dei nostri neolaureati, triennali e specialistici, sono sempre più confuse. La confusione genera smarrimento, quindi molti ragazzi – indirizzati a destra e a manca da genitori, parenti, amici, social network – tentano più strade con scarsa convinzione: prima un concorso pubblico, poi l’invio del curriculum vitae qua e là, poi un career day, poi di nuovo un concorso, poi vanno a chiedere aiuto al politico, poi dall’amico di famiglia, poi ancora un invio di cv, e così via.
Senza un obiettivo lavorativo chiaro, le possibilità di collocamento si riducono e i tempi si allungano fino a quando, quasi sempre, il nostro laureato italiano finisce per scegliere il primo lavoro che gli è capitato. Che viene accolto come una vera e propria liberazione, accompagnata da un senso di inadeguatezza che permane nel tempo, spesso causato dalla sensazione di “aver studiato tanto” per aver ottenuto “un posto da precario” oppure “uno stipendio da diplomati”. Peccato, perché chi si accontenta di fare il primo lavoro che gli è capitato, generalmente non profonde grande impegno e non produce grandi risultati. Questo la dice lunga su quanto potenziale umano il nostro sistema produttivo disperda ogni anno.
L’università non deve essere vista come il fine, ma come un mezzo. Scegliere la facoltà dovrebbe essere parte di un piano d’azione, che presuppone che sia stato identificato l’obiettivo. Non è l’obiettivo stesso. Il paradosso che nella nostra società sia considerato più importante il titolo che il ruolo, lo testimonia il fatto che il conseguimento della laurea viene festeggiato in pompa magna con parenti e amici, nonché le foto dell’evento condivise a più non posso sui social, così come il relativo “pezzo di carta” esibito con orgoglio. Al contrario, l’inserimento lavorativo passa quasi sempre inosservato, quasi come fosse una conseguenza logica e scontata di un titolo acquisito.
L’obiettivo è la professione. Di conseguenza, la scelta primaria riguarda esattamente il futuro professionale. La scelta dell’università deve essere subordinata alla scelta della professione. Spesso invece, come già detto, accade l’inverso ed è paradossale, oltre che dannoso. Ai ragazzi del 5° superiore non bisognerebbe mai domandare “dove andrai all’università. La domanda deve essere “che lavoro farai”. Se il ragazzo non è in grado di rispondere con convinzione a questa domanda, indicando uno o al massimo due job title, vuol dire che la nostra società ha fallito. Non si può tenere a scuola un giovane per 20 anni, senza mai dargli un aiuto concreto nell’ identificare con chiarezza l’obiettivo per il quale lo sta facendo. Che non è il voto, non è il titolo, ma la realizzazione professionale, che vuol dire soprattutto fare il lavoro che si è scelto.
Nel nostro Paese non abbiamo bisogno di cacciatori di titoli, ma di persone che generino valore e benessere con il proprio lavoro e che lo facciano felicemente, anche perché è il lavoro che hanno scelto loro. Non di lavoratori demotivati perché il lavoro in qualche modo gli è capitato grazie al fatto che avevano un titolo in mano.
Il rimedio c’è? Sicuramente sì, ed è dietro l’angolo. Abbiamo esperti di recruiting, orientatori professionali e consulenti di carriera sparsi in tutto il territorio nazionale. Queste professionalità lavorano all’interno di agenzie per il lavoro, di società di ricerca e selezione di personale o di consulenza HR, e conoscono molto bene il mercato del lavoro. Loro sono perfettamente in grado di supportare i ragazzi delle scuole superiori ad identificare i propri obiettivi lavorativi e di indirizzarli correttamente di conseguenza. Oggi il sistema scolastico non sta utilizzando abbastanza il valore, le competenze e l’esperienza di questi professionisti.