TraSmart-Working e Smart-Learning, ecco un nuovo concetto di “Smart-Model”, quale impostazione comune ad entrambi. E’ opportuno intanto risolvere attraverso una premessa quello che sembra essere un grande equivoco ai tempi del Covid-19: lo smart working non è ciò che sembra. Nella maggior parte dei casi si avvicina più al telelavoro domiciliare che al lavoro agile anche se di “agile” non c’è granché, ad onor del vero. E’ tutto molto farraginoso, anche perchè prima dell’irruzione pandemica non avevamo strumenti, modelli e le giuste skill per lavorare ciascuno in autonomia e a distanza da un giorno all’altro. Siamo, diciamolo, in emergency working in questo momento.
Ed è assolutamente comprensibile che sia andata in questo modo: nessuno si aspettava un lockdown, quindi non c’è stato il tempo di cambiare modello di management. Sì, perché lo smart working, per come è stato originariamente concepito, è molto diverso da qualcosa che si traduca in telelavoro o in lavoro domiciliare. Lungi dall’essere realizzabile con il semplice utilizzo a distanza di un computer e di una connessione, lo smart working è in realtà un vero e proprio modello organizzativo, che coinvolge le aziende con i manager in prima persona, i quali sono chiamati ad impostarlo, affinché produca i suoi effetti (benèfici, si presuppone) verso i lavoratori. Mi riferisco, chiaramente, ai lavoratori subordinati, posto che per i lavoratori autonomi parlare di smart working avrebbe poco senso: loro sono (o dovrebbero essere) per definizione degli smart worker.
Quindi cos’è Lo Smart working? Letteralmente“lavoro intelligente”. E’ stato definito dall’Osservatorio del Politecnico di Milano come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “lo smart working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
Vorrei semplificare, rafforzando ulteriormente il concetto, definendo lo smart working come un modello di gestione delle risorse umane che metta unicamente il risultato e la fiducia al centro del rapporto di lavoro.Deve quindi esservi un accordo tra datore e prestatore di lavoro, basato su un modello che orienti la prestazione lavorativa costantemente al raggiungimento di obiettivi prestabiliti e condivisi, invece che all’orario, luogo e modalità di esecuzione. Di conseguenza, affinché si possa correttamente parlare di “Lavoro Smart”, gli elementi necessari dovrebbero essere i seguenti: Obiettivi chiari, prestabiliti e condivisi; Cultura manageriale basata sulla fiducia e non sul controllo (su modi, orari e luoghi); Strumenti di misurazione delle performance e del progress rispetto agli obiettivi condivisi; Autonomia del lavoratore subordinato nella gestione della prestazione lavorativa; Possesso in capo al lavoratore delle necessarie “Smart-Skill” (organizzazione, autonomia, problem solving, decision making, padronanza dei tool); Condivisione della Mission aziendale; Autoefficacia del lavoratore Smart alla base del suo mindset; Engagement del team di lavoro; Leadership dei capi orientata al coaching e ad un approccio di tipo maieutico.
Lo smart learning.Parallelamente, potremmo definire lo Smart Learning un modello di gestione della didattica che metta l’effettivo l’apprendimento e la fiducia al centro della relazione tra docente e discente. Si tratterebbe dunque di un modello di apprendimento subordinato, anche qui come nel lavoro smart, esclusivamente e costantemente al raggiungimento di obiettivi prestabiliti e condivisi. Smart learning dovrebbe, coerentemente con il concetto di smart working, ispirare modelli di apprendimenti flessibili e delocalizzati, finalizzati esclusivamente al risultato perseguito. Ma è attuabile un sistema di apprendimento basato su un contesto socio-culturale-strumentale nel quale l’individuo si trova libero di scegliere di volta in volta il luogo, gli orari e le modalità in cui imparare? Questo dovrebbe essere l’obiettivo, seppur non semplice, sul quale tutta la comunità e gli addetti ai lavori, dovrebbe convergere se vogliamo far acquisire un approccio “Smart” alle nuove generazioni, preparandole così al meglio per affrontare il cambiamento e le sfide, non solo lavorative, del futuro prossimo.
In analogia con quanto visto per lo smart working, lo smart learning richiederebbe, per essere definito tale, la presenza dei seguenti elementi: Obiettivi formativi chiari, prestabiliti e condivisi; Cultura didattica basata sulla fiducia e non sul controllo (su modi, orari e luoghi); Strumenti di misurazione delle performance e del progress rispetto agli obiettivi condivisi; Autonomia del discente nella gestione dei metodi di apprendimento; Possesso in capo al discente delle necessarie “Smart-Skill” (organizzazione, autonomia, problem solving, padronanza dei tool); Condivisione della Mission didattica; Autoefficacia dello studente Smart alla base del suo mindset; Engagement del team di studenti, dunque dell’aula; Leadership dei docenti orientata al coaching e ad un approccio didattico di tipo maieutico.
Lo Smart Model, nel lavoro e nella formazione, insomma, richiede prima di tutto una nuova cultura sociale e, come tale, interessa tutti gli attori che ne fanno parte oggi: scuole, aziende, manager, lavoratori, alunni, famiglie, governi, parti sociali, ordinamento legislativo. Vanno quindi rivisti gli stili di leadership (dei manager e dei docenti) da una parte, l’approccio responsabile al lavoro ed all’apprendimento dall’altra. Parimenti un approccio realmente “smart” richiede la necessaria transizione da un modello di gestione basato sul controllo, ad un modello orientato all’autonomia, circostanza che presuppone a a sua volta l’elemento della fiducia. Tra gli elementi di rischio dello smart-model, correlati soprattutto all’assunzione di responsabilità che lo caratterizza, c’è la gestione dell’ansia. Se da un lato infatti si richiede ad una platea ampia di persone di assumersi maggiori responsabilità, allora dall’altro sarà necessaria una classe dirigente sensibile verso il tema dell’ansia – in particolare dell’ansia da prestazione – in un rapporto caratterizzato, come abbiamo visto, da una deliberata assenza di controllo verso la parte chiamata a raggiungere obiettivi, che dunque, potrebbe avere bisogno di maggiore supporto emotivo. La posta in gioco è il futuro di coloro che ne faranno parte domani: i giovani. I quali vanno assolutamente abilitati e preparati di fronte alle richieste dettate da un cambiamento che è già in atto.
A cura di Ernesto D’Amato, CEO Radar Consulting Italia