Inauguriamo con Luca Palermo, Amministratore delegato di Edenred Italia – che con l’acquisizione di Esay Welfare è leader di mercato in Italia tra i provider di welfare aziendale -, un giro di interviste a numerosi ed autorevoli addetti ai lavori, con lo scopo di promuovere un ampio confronto sul futuro del welfare aziendale nella fase successiva alla crisi epidemica. Uno dibattito di idee e considerazioni che faccia anche un primo tagliando sulle novità normative introdotte in questi ultimi anni.
La storia recente del welfare aziendale ci dice che il boom del suo sviluppo è coinciso con la fase finale della grande crisi economica iniziata nel 2008 e durata circa 5 anni. In sostanza, la leva del welfare è stata attivata perché molto vantaggiosa da diversi punti di vista, come i vantaggi fiscali, il costo del lavoro e l’aumento del potere d’acquisto dei dipendenti. Facendo un parallelismo potremmo ipotizzare una seconda grande fase di crescita e diffusione del welfare aziendale nel post-covid?
Il welfare aziendale sarà uno dei protagonisti della ripresa, perché rappresenta anche uno strumento in grado di mitigare gli effetti della crisi economica, grazie alla spinta che può dare ai consumi, e di orientare il mondo del lavoro verso il futuro. L’evoluzione di un’azienda e di tutta la comunità passa anche attraverso la capacità di reagire ai cambiamenti e la crisi sanitaria dell’ultimo anno ce ne ha imposti diversi. Il welfare aziendale accompagnerà il mondo del lavoro in questo cambiamento, supportando le aziende in progetti di sostenibilità verso le persone e l’ambiente, che l’emergenza Covid ha dimostrato essere urgenti e non più rinviabili. Si arriverà ad un superamento definitivo dei paradigmi novecenteschi e si andrà verso una concezione più matura, strutturata e consapevole del welfare aziendale sulla base del presupposto che persone che svolgono la propria attività lavorativa più serene e soddisfatte, rappresentano una risorsa imprescindibile per la crescita di un’impresa.
Le riforme importanti della normativa sul welfare aziendale sono intervenute durante il Governo Renzi nel 2015 e 2016. Con questi interventi legislativi si è incentivato il welfare soprattutto nell’ambito della contrattazione sindacale, si è evidenziato il tema dei servizi alla persona, sono stati semplificati alcuni passaggi. Si sono create così le condizioni per lo sviluppo dello strumento di questi anni. Il cosiddetto decreto di agosto (2020), inoltre, ha introdotto la modifica sul tetto massimo di esenzione per i frange benefit, portandolo da 258,23 a 516,46 euro, seppur fino a fine 2020. E’ arrivato il momento di fare un primo tagliando alle riforme introdotte nel 2015 per capire come rafforzare e incentivare ulteriormente il welfare aziendale?
Sicuramente il welfare aziendale va rafforzato e incentivato, come ha anche suggerito la task force guidata da Colao nelle linee guida per la ripartenza. È un ottimo segnale la misura introdotta dal Decreto Agosto che prevede la possibilità di raddoppiare il limite di esenzione per i fringe benefit. Andrebbe resa strutturale l’attuale soglia di 516,46 euro anche nell’ottica di dare maggiore ossigeno alla ripresa dei consumi, che è fondamentale rilanciare per aiutare il sistema economico del nostro Paese. Secondo i dati di Confesercenti-Swg sono 100mila i negozi che non hanno più riaperto dopo il lockdown e oltre mezzo milione tra hotel, bar e ristoranti e negozi sono in seria difficoltà. Attraverso questi sgravi, che drenano risorse sulla spesa e non possono andare nel risparmio, si possono aiutare sia le famiglie sia gli esercenti, creando un circolo virtuoso indispensabile per spingere la ripartenza della nostra economia. La misura introdotta dal cd. Agosto ha anche il grande pregio di offrire uno strumento interessante alle aziende, specialmente se piccole, ma anche alle rappresentanze sindacali, per avere un primo “contatto” con il welfare aziendale e iniziare a comprendere le sue potenzialità sotto il profilo sociale e contrattuale.
Il welfare nelle relazioni industriali. Nell’ambito della contrattazione sindacale la voce del welfare aziendale ha progressivamente assunto un ruolo sempre più evidente. Non solo a livello aziendale ma anche nella contrattazione nazionale in cui in diversi settori, a partire dal metalmeccanico che ha fatto da apripista, sono state introdotte delle quote di welfare nazionali obbligatorie. Il tema più ampio del nuovo patto sul lavoro fondato sempre di più sullo scambio lavoro-benessere sta prendendo corpo in modo sempre più evidente. Quale sarà il peso della contrattazione della componente del benessere e del welfare nelle relazioni industriali anche alla luce della fase post emergenza sanitaria e del “nuovo corso” in Confindustria?
Nella contrattazione aziendale e nazionale devono trovare maggiore spazio forme di welfare aziendale nella consapevolezza che il welfare deve aumentare il benessere dei lavoratori, i loro standard di vita e nello stesso tempo la produttività delle imprese. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha chiaramente detto a Governo e sindacati che le nuove politiche del lavoro sono parte fondante e non accessoria dei nuovi contratti di lavoro e uno spazio maggiore va dato anche al welfare aziendale, a forme di conciliazione tra lavoro e vita privata. In vista della nuova stagione di rinnovi contrattuali, non bisogna guardare solo al salario, elemento che resta prioritario, ma anche all’organizzazione del lavoro, alla produttività, al welfare aziendale, al capitale umano, alla formazione permanente, alla conciliazione vita privata-vita lavorativa. E le soluzioni più adeguate vanno trovate al tavolo della contrattazione tra aziende e lavoratori.
4. Uno degli impatti più significati dell’emergenza Covid sul mondo del lavoro è stato l’ampio ricorso allo smart working. Il tema più ampio, ad esso connesso, riguarda un modello di organizzazione del lavoro sempre meno ispirato ai vecchi canoni spazio – temporali e tendente ad un modello capace di conciliare le dinamiche lavorative con quelle della vita privata, della produttività e della flessibilità. Parliamo in sostanza di welfare organizzativo. Cosa ci attende da questo punto di vista nel post-covid?
Dobbiamo ragionare su qualcosa che ormai non è più legato alla congiuntura ma sta diventando strutturale. Lo smart working ci ha consentito di fronteggiare una crisi senza precedenti, ha modificato il modo di svolgere le attività lavorative, le dinamiche tra colleghi, la gestione degli spazi in famiglia, le modalità di fare le riunioni. È stato però uno smart working di emergenza, con diverse mancanze e problematiche come, ad esempio, la decurtazione dei buoni pasto o la mancanza di organizzazione e del diritto alla disconnessione. C’è la necessità di un nuovo rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore, basato sulla responsabilità di entrambi e lo smartworking non deve diventare terreno per arretramenti su diritti ormai consolidati. La tecnologia a supporto del cambiamento c’è ma deve essere incrementata pernon lasciare scoperte aree del territorio e famiglie. Lo smart working richiedeora una ridefinizione della legislazione in accordo con i sindacati.
Il ruolo sociale dell’impresa. Con i piani di welfare, in particolare, le aziende in questi anni hanno evidenziato un ruolo sociale di evidente impatto e valore e integrativo rispetto al welfare statale. Su molti capitoli il welfare aziendale ha svolto un ruolo di integrazione: si pensi ai servizi alla persona come colf, badanti, baby sitter, alle diverse forme di sostegno al reddito sia per l’acquisto di beni di prima necessità, alimentari e cosi via, ma anche per l’impatto sulla spesa scolastica dei figli dei dipendenti, oltre al sostegno alla mobilità green e ad altri vantaggi. In una prospettiva di welfare community tale ruolo delle aziende andrebbe rafforzato e valorizzato, sempre in una logica integrativa, oppure ci sarebbero delle controindicazioni?
Le imprese devono fare sempre più la propria parte sulla protezione sociale dei lavoratori dando più risorse ai lavoratori per welfare aziendale, previdenza integrativa, formazione. Non si tratta di sostituire spesa pubblica con spesa privata ma di mobilitare risorse aggiuntive per bisogni e aspettative crescenti, in un contesto di finanza pubblica fortemente vincolato. Il welfare statale quindi non viene messo in discussione nella sua funzione redistributiva di base, ma solo integrato all’esterno laddove vi sono domande non soddisfatte. Per riprendere il sentiero della crescita alla base deve esserci un patto tra imprese, sindacati e Governo per definire un’agenda di priorità che consenta di utilizzare al meglio le risorsedel recovery fund.