Si parla molto, forse anche troppo, di smart working e di smart learning. E’ ormai orientamento condiviso tra gli addetti ai lavori che, in entrambi i casi, non basta trasferire attività lavorativa o formativa a casa su un pc, affinché possa correttamente parlarsi di smart working o di smart learning. E’ indispensabile, se vogliamo puntare ad attuare concretamente modelli “Smart”, un radicale cambiamento culturale, che possa guidare il processo evolutivo dei modelli di gestione e delle relazioni tra le persone.
Ho già avuto modo di definire lo Smart Working come modello di gestione delle risorse umane che metta unicamente il risultato e la fiducia al centro del rapporto di lavoro. Analogamente, ho definito lo Smart Learning come un modello di gestione della didattica che metta l’effettivo apprendimento e la fiducia al centro della relazione tra docente e discente. Dal raffronto tra queste due definizioni emerge chiaramente come fiducia e risultato siano gli elementi essenziali per una relazione “evoluta” tra datore (anche il manager è un datore in questo senso, così come lo è il docente) e prestatore (anche l’allievo è un prestatore in questo senso), che non si basi su una logica di puro controllo, ma che rispetti l’autonomia organizzativa ed operativa di chi è chiamato a raggiungere un certo obiettivo per sé stesso e/o per un gruppo o per una comunità.
A questi due elementi essenziali vanno aggiunti ulteriori fattori, che hanno a che fare con le capacità richieste al prestatore,di lavorare in autonomia, di organizzazione, di autoefficacia, di assunzione di responsabilità; ma anche con le capacità richieste al datore, di formulare obiettivi ben definiti e di assegnarli, di creare autonomia, di segnare i limiti, di responsabilzzare, di motivare, di addestrare, di supportare. Senza la presenza di tutti i suddetti elementi, quello che definirei lo “Smart Model” non è applicabile.
Peraltro, ulteriore fattore che condiziona la riuscita del modello Smart è l’ambiente: non si può pensare di realizzare smart learningin un contesto scolastico “tradizionale”, basato sulla successione ciclica di lezione frontale, compiti a casa, interrogazione; così come non è realizzabile lo smart workingin una catena di montaggio in fabbrica oppure in una struttura organizzativa a vocazione spiccatamente gerarchica.
A tal proposito, la particolare situazione che stiamo vivendo a seguito del lockdown ci ha fornito un’occasione irripetibile (si spera) per ripensare i modelli di management, anche per via della spinta emotiva di una nuova diffusa consapevolezza: chi ha potuto sperimentare il lavoro da casa ha già intuito come, a fronte di una maggiore flessibilità e responsabilità, è possibile ottenere più tempo per sé, ma anche maggiore gratificazione dal proprio lavoro. Se per contro ciò non accade, e ci si ritrova a lavorare troppo e male, è proprio perché alla base non viene applicato un modello di gestione che risponda ai criteri smart. Il terreno è dunque fertile per un’evoluzione del mondo del lavoro e dell’apprendimento. Questa evoluzione può avvenire solo a valle di un processo che richiede tempo e pianificazione, e che non può che partire dalla scuola. E’ la scuola che deve iniziare ad educare i futuri manager a gestire persone secondo un modello smart.E’ sempre la scuola a dover abituare le persone a prestare la propria attività con responsabilità, autonomia organizzativa e focus su obiettivi; a sentirsi gratificati per i risultati conseguiti e per i miglioramenti ottenuti, invece che a contare passivamente le ore di lezione o le ore di lavoro, come i modelli tradizionali ci imporrebbero.