Rachele Monaco ha iniziato come Controller industriale nel Gruppo Monrif presso il Resto del Carlino. Successivamente ha operato come senior controller in gruppi multinazionali della Packaging Valley dove ha sviluppato un particolare interesse per le tematiche legate al Welfare Aziendale. Nel corso della sua carriera professionale, Rachele ha coordinato diversi progetti relativi al benessere dei dipendenti presso realtà del tessuto produttivo emiliano. Responsabile del personale di Puro Spa di Modena fino al 2015, ad oggi ricopre il ruolo di Head of Human Resources & General Services presso TWG Italia Srl. Una realtà, questa, appartenente al Gruppo multinazionale TGW Logistics Group che a fine ottobre 2019 conta un organico in forza pari a 109 FTE di cui circa il 69% ha meno di 2 anni di anzianità. La funzione di HR è stata inserita nell’azienda proprio con Rachele a partire dall’aprile 2018. “Ad oggi – spiega Rachele Monaco – il dipartimento HR è composto da 2 risorse. Pertanto direi che il primo focus è stato proprio curare le 75 nuove assunzioni, armonizzare i contratti di lavoro di tutta la struttura (convertendo i netti mensili in retribuzioni annue lorde) e coordinare tutte le altre attività a corollario della funzione relativa alla gestione delle risorse umane”.
Come sta cambiando la figura del direttore del personale rispetto alla rivoluzione epocale che stiamo vivendo nella società, nell’economia e nel mondo del lavoro? Si tratta di un ruolo chiave per gestire questa fase di cambiamento e transizione verso l’era della robotica e dell’intelligenza artificiale? Da figura specialistica verticale il Direttore del Personale sta diventando sempre più una figura trasversale (normativa-amministrativa) che, in quanto tale, attraversa tutta l’Azienda. Le competenze richieste per ricoprire questo ruolo sono sempre più variegate e vanno declinate in chiave multidisciplinare. Certo la robotica e l’intelligenza artificiale richiedono anche alla Direzione del Personale capacità di discernimento e di innovazione ancora più spinte che in passato, ma non dimentichiamo che oggi il Direttore del Personale è il più verticale dei generalisti ed il più orizzontale degli specialisti in Azienda.
Il tema del benessere in azienda è molto diffuso. Come si realizza in concreto e quali sono le leve da attivare? La ricerca del benessere deve essere generale e non solo per pochi in una Azienda. Per anni i premi ed i benefit erano solo per i Dirigenti con solo qualche assaggio per i Quadri. Ora almeno i servizi in chiave welfare devono essere più o meno gli stessi per tutti e questo è un importante passo in avanti. Le leve sono quelle note: una vera analisi dei bisogni, un budget che abbia un senso a disposizione e, se è possibile, un po’ di innovazione per non cristallizzare anche quello che può essere un benessere mutandolo in un malessere.
Il welfare aziendale è uno strumento di grande attualità che si sta sviluppando in modo capillare soprattutto negli ultimi anni. Tramite questi strumenti l’azienda ottiene una molteplicità di benefici con ricadute positive anche a livello sociale. Che ne pensa? Come dicevo prima non posso che pensarne bene in termini di maggiore efficacia e allo stesso tempo maggiore equità dei servizi messi in campo da una Azienda. Ma ci vuole anche empatia con i dipendenti nonché fantasia e creatività. Non è detto che il welfare aziendale migliore sia quello più remunerativo, ma credo che sia quello più centrato sulle reali esigenze dei dipendenti, che non possono e non devono essere le stesse clonate in ogni Azienda.
La dimensione spazio-temporale del lavoro e della sua organizzazione stanno cambiando. Il tempo e il luogo di lavoro sono sempre meno vincolanti, anche se non per tutte le realtà. Parliamo di smart working e di work-life balance. A che punto siamo? Siamo a metà del guado. L’attuale dimensione socio economica ci dice che smart working e work life balance abitano già abbondantemente tra noi. Le paure del cambiamento ci dicono però allo stesso tempo che molti colleghi sono ancora angosciati dalla sindrome del controllo. Capisco che non tutte le situazioni sono uguali e non è detto che la timbratura oraria vada abolita ovunque e comunque, ma quanti regolamenti aziendali sono ancora più volti a contenere le pause caffè che non a promuovere vere forme di lavoro integrato, in spazi in cui l’espressione lavorativa si distacchi sempre più dalla ripetitività per approcciarsi alla creatività.
Nell’economia della conoscenza le risorse principali su cui investire e che rappresentano un vantaggio competitivo sono i talenti. Alcuni consulenti di McKinsey nel lontano 1997 hanno teorizzato addirittura la “guerra dei talenti” tra le aziende. Oggi parliamo di giovani talenti che appartengono alla generazione dei Millennials ma anche alla Generazione Z. Come si attrae e trattiene un talento e perché è così importante? Un talento si attrae come si deve fare con qualsiasi persona pensante di qualsiasi età: con proposte chiare, concrete, non più basate solo su fattori economici, ma facendo leva su risorse ambientali, ed alludo in questo senso sia alla capacità di essere green da parte della Azienda, ma anche di creare un ambiente friendly (in questo senso anche green) all’interno dell’Azienda stessa.
La robotica e l’intelligenza artificiale stanno progressivamente trasformando l’azienda e il lavoro. In che modo stanno cambiando anche l’attività della funzione HR? Ci sono già diversi ambiti di applicazione come per esempio nella fase di selezione del personale? La selezione del personale può cambiare in alcuni aspetti metodologici, può risentire della richiesta aziendale di personale dotato di skills fino ad oggi sconosciute ma un colloquio di selezione, anche via skype, anche gestito con test preliminari, con doppie, triple o quadruple interviste è e rimane una relazione umana. Non c’è nulla di più arricchente di un colloquio di selezione, non solo per chi ha l’opportunità di verificare come candidato l’efficacia di una propria candidatura, ma soprattutto per chi ha il privilegio di potere fornire una opportunità di lavoro.
L’azienda, a volte, si trova di fronte la necessità di procedere a licenziamenti collettivi. Come si gestisce questa fase critica? Con maggiore concentrazione, intensità, attenzione a non sbagliare niente perché ogni errore in questi momenti può essere un posto di lavoro che salta in più; ogni azione efficace in queste fasi può rappresentare una minore necessità di ridurre posti di lavoro.
Le relazioni sindacali in questi anni sono molto cambiate. La dimensione aziendale è sempre più importante. Quali sono gli elementi di innovazione che vede o che auspica nelle relazioni industriali? Auspico sempre più realismo. Non ci si può nascondere dietro il passato. Il sindacato ha un problema di rappresentatività che non può essere mistificato. Allo stesso tempo le Aziende non possono pensare di rappresentare sé stesse ed anche gli interessi dei loro dipendenti (questo almeno fino a che non diventino azionisti anche costoro). Occorre quindi non impostare più relazioni sindacali su vecchi schemi, ma avere il coraggio di riconoscere le diversità del momento ed anche il diverso rapporto di forze. Ma questo non perché ciascuno (Rappresentanti delle Aziende e dei lavoratori) si arrocchi su posizioni obsolete, ma affinché si innestino relazioni industriali degne del 2020.
Se fosse Ministro del Lavoro quale sarebbe il primo provvedimento che promuoverebbe? Credo che le cosa più perversa che abbiamo in Italia ad ogni cambio di Governo sia vedere abbattere quanto abbia fatto (al di là del giudizio di merito) il Governo precedente. Se c’è una misura che mi ha lasciato perplessità è il reddito di cittadinanza, ma io ricomincerei proprio da qui, dalla parte ancora non sviluppata, dalla necessità di creare uffici provinciali del lavoro che promuovano davvero politiche attive del lavoro, che, come in Francia o in Germania, eroghino vere opportunità di lavoro incrociando domanda e offerta e non limitandosi ad interviste sterili a candidati poco propensi a ritornare attivi sul mercato del lavoro.
Infine, una domanda personale. Come e perché si decide, ad un certo punto della propria vita, di diventare direttore del personale? Perché – conclude con ironia Rachele Monaco – dopo essere stata addetta marketing e senior controller era ora di cambiare.