Lo sport e l’attivazione fisica hanno importanti ricadute sul benessere delle persone a livello sia fisico che mentale. A giovare di questi benefici, infatti, oltre all’individuo stesso sono anche le aziende e la società. Le prime generalmente riscontrano maggiore engagement, migliori relazioni, diminuzione dell’assenteismo e buona produttività mentre per la società, persone in forma vuol dire anzitutto riduzione della spesa sanitaria, maggiore prevenzione e quindi benessere e felicità. Ecco perché, quindi, avviare le persone ad essere attive è interesse non solo del singolo, ma delle aziende e della società nel suo complesso in un approccio vincente per tutti. AIDP Lombardia (Associazione italiana per la direzione del personale) in collaborazione con 6PIU’ (che ha già avviato al movimento oltre 20.000 persone) promuove un’iniziativa gratuita rivolta alle aziende per aiutarle ad attivare i propri collaboratori ed il loro microcosmo (familiari e figli), aiutandoli a trovare la giusta motivazione ed il corretto supporto per questo fondamentale obiettivo. A tal proposito abbiamo intervistato Claudio Alessandrini, a capo dell’iniziativa che ci spiegherà l’importanza dell’attivazione fisica e dello sport ed i benefici di cui l’intera collettività ne può trarre vantaggio.
La salute di un individuo dipende dal suo stato di benessere sia fisico che mentale. In che modo queste due componenti sono correlate all’attività produttiva e quindi al piano e al contesto lavorativo e sociale? L’Organizzazione Mondiale per la Sanità definisce “La salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità”. Mentre risulta relativamente semplice definire il benessere fisico, è più complesso parlare di salute mentale che una volta veniva concepita in maniera binaria: sanità/malattia. La salute mentale è riferita alla capacità di intessere proficue relazioni con gli altri per gestire situazioni complesse come quelle che ci si presentano tutti i giorni sul lavoro e nella nostra vita privata e la risposta non è un si o un no, ma è una scala alquanto ampia. Progressivamente cambiato anche il contesto lavorativo nel quale operiamo e le organizzazioni si sono snellite. I ruoli, che hanno sempre avuto una parte interpretativa ed una parte prescrittiva, diventano più complessi e la prima tende sempre più a prevalere sulla seconda richiedendo autonomia ed engagement da parte delle persone. Quello che ora le neuroscienze ci dimostrano è che salute fisica e mentale sono assolutamente collegate per il tramite di reazioni chimiche.
Promuovere il benessere in azienda, così come la employability è sì una responsabilità delle singole persone, ma è contestualmente interesse delle aziende stesse, perché questo ha effetti sulla produttività. Inoltre la mancanza della salute ha un costo per le aziende e per la società in termini di assenteismo, costi sanitari, conflittualità, relazioni e creatività. Un interessante studio condotto dalle università di Yale ed Oxford su di un campione di 1.200.000 americani, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “the Lancet”, dimostra la correlazione tra le giornate/anno con sensazione di malessere ed inattività fisica con un aumento di 18 giorni (sui 35 medi del campione) per coloro che non praticavano una almeno moderata, ma continua, attività fisica. Hanno poi dimostrato che le persone attive avevano una percezione di benessere comparabile a quella di persone sedentarie con stipendi superiori di 25.000 $.
Attraverso quali strumenti l’azienda può intervenire per promuovere il benessere a 360 gradi dei propri dipendenti? Il benessere va promosso con iniziative a 360 gradi. Questo nasce dalla cultura aziendale, passa per la coerenza dei comportamenti rispetto ai valori professati (non vi è nulla di più demotivante dell’incoerenza), per la chiarezza degli obiettivi e per la loro raggiungibilità. Prosegue poi per l’equità, per la crescita personale e della employability e per la sostenibilità, declinandosi in tante più o meno piccole attività dove l’azienda dimostra la propria attenzione alle sue risorse e anche al loro microcosmo. Queste azioni sono alla portata delle aziende di tutte le dimensioni e non solo delle grandi aziende che si possono permettere un “maggiordomo aziendale”. Ogni iniziativa concreta, per piccola che sia, (di prevenzione, di cura, di attivazione) è utile a tal scopo purché sia coerente e non un semplice paravento dietro cui nascondersi. Ad esempio in questo momento molte aziende hanno fornito un supporto psicologico per aiutare a gestire il delicatissimo momento, mentre altre ricreano virtualmente occasioni di confronto ed aggregazione (caffe, aperitivi o corsi virtuali). Altre ancora proteggono con polizze antinfortunistiche le proprie persone e/o si riorganizzano per mettere in condizioni di massima sicurezza le proprie persone (anche superando quelle che sono le prescrizioni di legge).
Questo riguarda anche il mondo associativo che deve creare e promuovere cultura. Ad esempio, come AIDP Lombardia, per portare attenzione sul tema del benessere fisico in azienda, questa estate abbiamo promosso una sfida dove oltre 100 tra direttori delle risorse umani e professionisti del settore HR si sono sfidati grazie ad un applicazione che si chiama “Virtuoso” a chi nel periodo di 40 giorni tenesse un comportamento più sano ed attivo. L’applicazione, attraverso un meccanismo di gamification (i partecipanti potevano sfidarsi tra loro, monitorarsi continuamente e vincere piccoli premi e riconoscimenti) ci ha chiaramente dimostrato che i comportamenti delle persone sono positivamente influenzabili e nel corso della sfida il numero dei passi medi è aumentato del 18%. Oltre a fare del bene, negli Stati Uniti la possibilità di dimostrare questi comportamenti porta le aziende ad un risparmio sui premi assicurativi delle polizze salute del proprio personale.
Come sta evolvendo il concetto di attrattività per un’azienda con l’instaurarsi sempre più di una visione che pone l’attenzione sulla persona e sul suo benessere? Particolarmente in questo momento la comunicazione ed il marketing si stanno focalizzando sui valori (che ripetiamo devono essere riscontrabili nei comportamenti) mentre diminuisce di importanza il focus sul prodotto. In un mondo sempre più connesso, dove le informazioni (corrette o non) sono sempre più facilmente raggiungibili, la selezione e la “retention”delle risorse più richieste dal mercato diviene più competitiva. Non è solo l’azienda che raccoglie informazione sui candidati, ma sono anche questi ultimi che si informano su questa prima attraverso “referral” verbali oppure tramite il web (si pensi a siti come “glassdoor” dove si possono ottenere opinioni dall’interno). Inoltre, per l’evoluzione del mondo del lavoro degli ultimi decenni, (la vita media delle aziende in Italia è di circa 12 anni – le più longeve sono nel settore agricolo con 16) il rapporto di lavoro non viene più visto come una scelta definitiva ma come un tratto di percorso comune dove l’azienda deve offrire attenzione alla persona ed aumento o mantenimento della sua employability attraverso un continuo processo di re-skilling e di rispetto.
Remote working o Smart working: quali differenze ma soprattutto, quali vantaggi (o svantaggi) per la salute degli individui? Lo smart working presuppone una serie di condizioni abilitanti che primariamente si possono riassumere in 3 macro fattori: ambiente fisico di lavoro, tecnologia, cultura aziendale e processi. Se tutti i 3 fattori non sono implementati coerentemente lo smart working non può esistere. Purtroppo, a parte poche avanzate realtà (prevalentemente multinazionali), recentemente non abbiamo visto altro che una remotizzazione del luogo di lavoro che, dalla sede centrale, è primariamente diventato la casa. D’altra parte il cambiamento è stato troppo repentino per poterlo gestire diversamente.
Dal punto di vista fisico questo forzato confinamento domestico ha eliminato per molti anche le proprie già limitate occasioni di movimento accentuando la sedentarietà. Dal punto di vista mentale questo ha portato un isolamento e rischia di portare a pigrizia ed autoreferenzialità. Ricordiamoci che l’essere umano è un animale sociale che dal confronto con gli altri trae ricchezza e benessere. Un indicatore di questo pericolo di inaridimento è la forte diminuzione nel periodo di lock down del numero dei brevetti registrati mondialmente. Inoltre non abbiamo ancora chiare le implicazioni di medio periodo sulle relazioni intra ed extra aziendali che andranno completamente ridisegnate e che hanno reso particolarmente complessi alcuni processi (solo per fare un esempio si pensi all’onboarding.)
In questo contesto, qual è la ‘normalità del futuro’ nel mondo del lavoro a cui stiamo andando incontro? Quali sono i principali aspetti che comprende questa nuova visione? Il “New normal”, richiederà tempo e coraggio, dovrà portare a superare la dicotomia: casa, sede centrale. Non basteranno computer portatili, sedie ergonomiche e banda larga per trasformare il remote working in smart working. Ci saranno tanti luoghi di lavoro quante saranno le necessità: casa per alcune esigenze, sede centrale per altre, uffici di prossimità o centri di co-working dove in un contesto ambientale e tecnologico idoneo sarà possibile riappropriarsi della dimensione relazionale perduta sul modello che felicemente è stato definito di “Hub & Club”. Starà alla singola persona, sulla base di obiettivi ben definiti e sulla comprensione del senso del proprio ruolo all’interno della propria organizzazione, decidere dove e come lavorare ed alternare momenti privati e lavorativi sempre più connessi ed indistinti rispetto al passato dove i demarcatori erano orario, luogo di lavoro ed anche l’abito. Questo richiederà una diversa e più complessa organizzazione che consentirà però di ottimizzare il proprio tempo, di minimizzare gli spostamenti urbani e non e di ridisegnare una nuova socialità. È il modello degli smart workplaces, degli smart villages, delle smart cities, ognuno componente essenziale degli altri in un ottica di prossimità e sostenibilità. Si passerà nel tempo ad un’adozione per i luoghi di lavoro del modello “pay per use” cosi come è successo nel mondo del printing e come comincia a vedersi nel mondo dell’automotive.
Verso quali frontiere le aziende devono orientarsi per arrivare a cavalcare quella che potremmo definire come la ‘nuova leva di vantaggio competitivo’? L’attenzione verso le proprie persone, declinata in tutte le forme, è una potente leva di vantaggio competitivo. In primo luogo perché le pone in condizione di focalizzarsi meglio sul proprio lavoro, perché rinforza in loro un senso di appartenenza all’organizzazione, perché viene percepita, anche esternamente, come sinonimo di attenzione al cliente e all’ambiente nel quale si opera. E’ un positivo “effetto alone “che, nella grandissima parte dei casi si rivela invece reale. L’unico modo per ottenere questo effetto è pero una coerente attenzione che porti le proprie persone a divenire “ambassador” della propria azienda.
In cosa consiste l’iniziativa di AIDP Lombardia in collaborazione con 6PIU’ e a chi è rivolta? Con un percorso strutturato e con il continuo aiuto di coach che hanno già avviato alla corsa oltre 20.000 persone “ex sedentarie”, l’obiettivo dell’iniziativa è portare tutti coloro, che oggi pensano sia impossibile, a correre 30 minuti consecutivi entro la fine dell’anno, regalandosi e regalando salute per il Natale.
Riteniamo sia un bel messaggio di ripartenza e sostenibilità per prendersi cura delle proprie persone e del benessere loro e del loro microcosmo (l’iniziativa è aperta anche a tutti i familiari, agli amici, ai conoscenti e ai colleghi). Oltre ad alzare le proprie barriere immunitarie e a creare un’occasione di socialità, possiamo garantire che le conseguenze, anche lavorative, saranno sorprendenti perché il successo in questo progetto è un possente abilitatore di autostima e ridefinisce il nostro concetto di limite e di impossibile.
Come è strutturato “Natale in movimento”, chi può parteciparvi e come? Partiamo da un webinar motivazionale (inizialmente sarebbe stato un incontro fisico ma il contesto ci ha obbligato ad adattarci alla situazione, come tutti). Qui analizzeremo i motivi della inattività che è comune a moltissime persone: circa il 75% degli italiani non pratica regolare attività fisica o sportiva. Razionalmente tutti sappiamo che la pratica sportiva fa bene ma dobbiamo confrontarci con le nostre paure di non riuscire e con tutte le resistenze che la parte rettiliana del nostro cervello ci mette di fronte e che, con gli strumenti giusti, si possono vincere. Verrà poi consegnato anche un programma di allenamento graduale. Seguiranno ancora sessioni di allenamento individuali (anche qui inizialmente sarebbero state anche collettive) e regolari sessioni di confronto online con i coach per tenere alta la motivazione e condividere progressi e/o difficoltà. Al termine possiamo garantire che la stragrande maggioranza degli iscritti riuscirà in quanto, poco tempo prima, avrebbe ritenuto inconcepibile.
Salute ed employability sono 2 leve fondamentali per il benessere delle persone e delle aziende. Il compito di perseguire questi 2 obiettivi non deve essere lasciato alla singola persona, che pure ne ha la responsabilità, ma questa deve essere aiutata, per quanto possibile, dalle aziende e questo non per beneficenza ma per mutuo interesse. Per questo motivo sarà possibile iscriversi sia a titolo individuale sia su iniziativa delle aziende e dei direttori del personale che decideranno di supportare questa iniziativa e che speriamo ci aiuteranno a diffondere all’interno delle proprie organizzazioni questa opportunità.
Le iscrizioni potranno pervenire ad [email protected] oppure potranno essere fatte registrandosi direttamente presso il sito http://www.6piu.it/aidp/