Il 2022 ha sancito il minimo storico delle nascite in Italia, -1,9% per 392.598 registrazioni all’anagrafe. Una contrazione della natalità che accompagna l’Italia da decenni e che ormai coinvolge anche la componente straniera della popolazione. Le donne hanno meno figli o non ne hanno affatto: i primi figli nati nel 2021 sono il 34,5% in meno di quelli che nascevano nel 2008, con una contrazione anche del numero di figli nati da entrambi i genitori stranieri, che si è fermato a quota 56.926 nel 2021 (era 79.894 nel 2012). Il 12,1% delle famiglie con minori nel nostro Paese (762mila famiglie) sono in condizione di povertà assoluta, e una coppia con figli su 4 è a rischio povertà, in uno scenario generale nel quale il numero di nuovi nati e di neomamme sono in picchiata, ma non c’è da stupirsi.
In Italia la coorte di donne in età fertile è diminuita nei decenni e si diventa madri sempre più tardi: l’età media al parto è di circa 32 anni, una delle più alte in Europa, e già nel 2019 l’8,9% dei primi parti riguardava madri ultraquarantenni. Se il rinvio della maternità e la bassa fecondità sono frutto di numerose concause, c’è una relazione diretta e positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità. Il mercato del lavoro sconta ancora un gap di genere fortissimo. Nel 2022, pur segnando una leggera decrescita, il divario lavorativo tra uomini e donne si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali. Pesano anche, e molto, differenze geografiche e titolo di studio. Nel Mezzogiorno l’occupazione delle donne con figli si arena al 39,7% (46,4% se i figli non ci sono), contro il 71,5% del Nord (78,9% senza figli). Un quadro poco favorevole alle madri lavoratrici emerge anche dai dati raccolti dall’INL sulle dimissioni: nel 2021, “delle 52.436 convalide totali, 37.662 (il 71,8%) si riferiscono a donne (madri) e 14.774 (28,2%) a uomini (padri)”, e la percentuale delle madri sale oltre l’81% tra giovani fino a 29 anni. Tra gli uomini il 78% delle dimissioni è legato al passaggio ad altra azienda e solo il 3% alla difficoltà di conciliazione tra lavoro e attività di cura, mentre per le donne questa difficoltà rappresenta complessivamente il 65,5% del totale delle motivazioni. Il gap lavorativo per le donne legato a genere e genitorialità risulta quindi nel nostro Paese abbastanza marcato.
Questi alcuni tra i principali dati contenuti nell’8° edizione del rapporto “Le Equilibriste” di Save the Children, diffuso oggi in prossimità della Festa della Mamma, che traccia un bilancio aggiornato delle molte sfide che le donne in Italia devono affrontare quando diventano mamme. Come ogni anno, lo studio include anche l’Indice delle Madri, elaborato dall’ISTAT per Save the Children, una classifica delle Regioni italiane stilata in base alle condizioni più o meno favorevoli per le mamme. Quest’anno l’Indice si arricchisce di nuove e più complete dimensioni, con ulteriori indicatori, che comprendono la sfera del lavoro, come quella della demografia e della scuola, la salute (mortalità infantile e consultori), la violenza sulle donne, la partecipazione politica a livello locale, oltre al grado di soddisfazione personale. È la Provincia Autonoma di Bolzano a guidare questa particolarissima classifica dei territori amici delle madri, seguita da Emilia Romagna e Valle D’Aosta, mentre le condizioni più sfavorevoli per le mamme si registrano in Basilicata, preceduta appena in fondo alla classifica da Sicilia e Campania.
“Sappiamo che dove le donne lavorano di più nascono anche più bambini, con un legame tra maggiore fecondità e posizione lavorativa stabile di entrambi i partner. Tuttavia, la condizione lavorativa delle donne, e in particolare delle madri, nel nostro Paese è ancora ampiamente caratterizzata da instabilità e precarietà, a cui si aggiungono la carenza strutturale di servizi per l’infanzia, a partire dalla rete di asili nido sul territorio, e la mancanza di politiche per la promozione dell’equità nel carico di cura familiare. I provvedimenti approvati negli ultimi anni, pur andando nella giusta direzione, non sono che timidi passi sul fronte del sostegno alla genitorialità. Non possiamo permetterci di perdere l’occasione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza per costruire finalmente una rete capillare di servizi per la prima infanzia ed è altrettanto necessario andare con più forza verso un congedo di paternità paritario rispetto a quello delle madri. L’Italia è un paese a rischio futuro, e se è vero che il trend di denatalità non può essere invertito velocemente, è ancor più vero che è quanto mai urgente invertire il trend delle politiche a sostegno della genitorialità per non perdere altro tempo prezioso.” ha dichiarato Antonella Inverno, Responsabile Politiche Infanzia e Adolescenza di Save the Children Italia.
Se, come dimostrano i dati, il tema del gap lavorativo è cruciale nella vita delle “mamme equilibriste”, anche l’esperienza della maternità in sé mostra dei limiti. In una indagine realizzata da Ipsos per Save the Children e contenuta nel rapporto “Le Equilibriste”, le mamme di bambini tra 0 e 2 anni testimoniano un chiaro vissuto di solitudine e fatica, dall’evento del parto alla ricerca di un nuovo equilibrio nella vita familiare e lavorativa. Dal sondaggio emerge che in ospedale, se la qualità dell’assistenza sanitaria è considerata buona dall’81% delle intervistate, 1 donna su 2 non si è sentita accudita sul piano emotivo e psicologico, e al ritorno a casa in molte non si sono sentite supportate dai servizi pubblici come l’assistenza domiciliare (58%) e i consultori familiari (53%).
Le madri intervistate che hanno vissuto l’esperienza del parto hanno riportato di aver provato sia sensazioni positive che negative durante il post-partum nell’88% dei casi (47% in egual misura, 30% soprattutto positive, 11% soprattutto negative). Nella quotidianità, sono infatti le madri a dedicare gran parte del loro tempo alla cura del figlio tant’è che il 40% delle mamme intervistate fatica a ritagliarsi del tempo per sé. Il 40% delle donne riporta anche vissuti di crisi o conflittualità nella coppia dopo la nascita del figlio e 1 donna su 5 segnala l’emergere di una maggiore aggressività del partner o dichiara di averne avuto paura. Ben 6 mamme su 10 non hanno accesso al nido, risorsa chiave per la loro partecipazione al mercato del lavoro. In più di 1 caso su 4 ciò è dovuto a carenze del servizio pubblico. Rispetto alle politiche considerate maggiormente amiche dalle mamme, dalla ricerca emerge l’assegno unico, di cui usufruisce il 63% delle intervistate, mentre solo il 15% beneficia del bonus nido. Se quasi la metà del campione non ha intenzione di avere altri figli, perché troppo faticoso (40%), per le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia (33%), per mancanza di supporto (26%) o per insufficienza dei servizi disponibili (26%), il sondaggio evidenzia quale sostegno potrebbe cambiare in positivo la propria propensione ad avere ulteriori figli. Tra quelli segnalati emergono un assegno unico più consistente (23%) o la possibilità di asili nido gratuiti (21%), ma anche un piano personalizzato di assistenza tarato sulle esigenze specifiche della famiglia (12%), un’assistenza domiciliare pubblica in caso di malattia del bambino per permettere ai genitori di non assentarsi dal lavoro (7%) o un sostegno psicologico pubblico che accompagni le madri nei primi mesi di vita (6%).
“In Italia si parla molto della crisi delle nascite ma si dedica poca attenzione alle condizioni concrete di vita delle mamme, le “equilibriste” sulle quali grava la quasi totalità del lavoro di cura. Per sostenere la genitorialità occorre intervenire in modo integrato su più livelli. Occorre potenziare il sostegno economico alle famiglie con minori. Allo stesso tempo, in un Paese dove il numero dei giovani fuori dai percorsi di formazione, studio e lavoro raggiunge una delle percentuali più alte in Europa, è indispensabile garantire ai più giovani l’autonomia abitativa e condizioni lavorative dignitose. I pochi bambini che nascono oggi dovrebbero poi vedere assicurato l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia così come alle cure pediatriche. Eppure sappiamo che questi diritti fondamentali non sono assicurati in tutto il Paese dove permangono, come dimostra l’Indice regionale, gravissime disuguaglianze territoriali. Accanto ad una solida rete di welfare che accompagni i primi mille giorni di vita di un bambino è necessario un deciso impegno per assicurare alle donne – e in particolare alle mamme – la possibilità di sviluppare il proprio percorso lavorativo, riequilibrando i carichi di cura e trasformando un mondo del lavoro ancora oggi in molti casi ostile” ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.