Avete presente la cosiddetta «clausola per l’adeguamento del gasolio»? È quella contenuta nel comma 5 dell’articolo 83 bis del D.L. 112/2008 in cui è previsto che se il contratto di trasporto si svolge con prestazioni da effettuarsi per più di 30 giorni, la spesa che il vettore sostiene per gasolio e autostrada, così come risulta dal contratto o dalle fatture emesse nel corso del primo mese di prestazioni, va adeguata nel caso in cui il prezzo del carburante e/o quello dei pedaggi aumentino di oltre il 2% rispetto al momento in cui il contratto è stato concluso.
Questa norma è obbligatoria e quindi va comunque rispettata anche se non viene richiamata nel contratto, oppure le parti possono accordarsi per non applicarla? Il comma 5 dello stesso art. 83 bis delinea un meccanismo di adeguamento automatico del corrispettivo sulla base delle sole variazioni del prezzo del gasolio e delle tariffe autostradali laddove il contratto preveda prestazioni di trasporto da effettuarsi in un arco temporale superiore ai 30 giorni.
Nello specifico la parte di corrispettivo corrispondente al costo del carburante sostenuto dal vettore, e risultante da quanto riportato nella fattura, dovrà essere adeguata in base alle oscillazioni intervenute nel prezzo del gasolio che superino del 2% il valore preso a riferimento al momento della conclusione del contratto o dell’ultimo adeguamento effettuato.
È oggetto di discussione fra gli addetti ai lavori se detta clausola s’imponga comunque alla volontà dei contraenti (e quindi debba essere considerata inderogabile), ovvero se possa essere liberamente derogata dalla conforme volontà dei contraenti, soprattutto alla luce della piena riaffermazione del principio della piena liberalizzazione del corrispettivo del servizio di trasporto (i.e. dell’autonomia negoziale delle parti il che è lo stesso) come da previsione del comma 4 dell’art. 83 bis.
Al riguardo può senz’altro dirsi che la stessa previsione della pubblicazione, con cadenza mensile, nel sito internet del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dei valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio delle imprese di autotrasporto per conto di terzi, ex articolo 1, comma 250 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di Stabilità 2015), costituisce un chiaro segnale, da parte dei pubblici poteri, circa la legittimità di una contrazione della libertà di contrattazione fra vettori e committenti quando sia in gioco la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti come la sicurezza e l’incolumità dei cittadini e degli utenti della strada, a maggior ragione dopo l’abolizione del regime dei costi minimi di sicurezza che alla tutela di quell’esigenza era preordinato.
A corroborare ulteriormente tale assunto deve ricordarsi come l’art. 4 del Decreto legislativo n. 286/2005 conferma la centralità del principio di tutela della sicurezza della circolazione stradale, stabilendo che «sono nulle le clausole del contratto di trasporto che comportano modalità, condizioni di esecuzione delle prestazioni contrarie alle norme sulla circolazione stradale».
Sostanzialmente nello stesso ordine di idee si pongono anche la normativa e la giurisprudenza comunitaria che della sicurezza in tutti i suoi aspetti (e quindi anche di quella stradale e sociale) hanno fatto un principio cardine dell’ordinamento cui gli Stati membri devono conformarsi.
L’indicazione dell’adeguamento automatico del corrispettivo trova applicazione nell’art 1339 del codice civile e si tratta di un’integrazione in funzione della tutela di interessi preminenti dell’ordinamento comunque prevalenti sulla volontà delle parti, tanto più in materia di tutela sicurezza stradale e sociale.
Nello stesso tempo occorre rilevare che la previsione di adeguamento del corrispettivo prevista nel comma 5 dell’articolo 83 bis è priva di sanzione.