L’agricoltura italiana, soprattutto nel Mezzogiorno, è caratterizzata da vaste aree di illegalità. Gli eventi criminosi assurti agli onori della cronaca negli ultimi mesi e richiamati nelle risoluzioni proposte per questa indagine, rappresentano solo le manifestazioni più estreme di questo stato di cose. L’illegalità si unisce alle distorsioni indotte da un intervento pubblico che sussidia in modo assai poco trasparente il settore. E’ proprio la coesistenza di illegalità diffusa e opacità del sostegno pubblico a spiegare come possano in agricoltura coesistere due fenomeni opposti come il lavoro nero e il lavoro fittizio. Il primo è lavoro effettivamente svolto, ma non dichiarato per non pagare tasse e contributi sociali. Il secondo è lavoro mai svolto, ma dichiarato per beneficiare di sussidi e trasferimenti pubblici di varia natura.
Soprattutto nel Mezzogiorno i due fenomeni illeciti si intersecano fra loro. Da un lato, infatti, si assiste allo sfruttamento della manodopera, ingaggiata in totale violazione delle norme di legge, da persone fisiche o anche da imprese, che di fatto svolgono un’attività di intermediazione illecita di manodopera, assicurando alle imprese utilizzatrici “pacchetti” di lavoratori sottopagati e sfruttati, per i quali gli intermediari provvedono anche al trasporto e spesso alla sistemazione logistica. Le imprese intermediatrici, che in molti casi sono costituite in forma di cooperativa, hanno la caratteristica di essere “senza terra”, vale a dire che non svolgono un’attività agricola, né – a maggior ragione – un’attività connessa a quella agricola, e neppure sono in qualche modo coinvolte di fatto nel ciclo biologico o in una o più fasi del ciclo medesimo.
Tali cooperative, pur non possedendo nei fatti alcun requisito per potere essere inquadrate quali imprese operanti nell’ambito agricolo, assumono lavoratori per svolgere attività agricola, inviando la propria manodopera in genere a raccogliere il frutto pendente sui fondi dei diversi committenti. Sull’altra faccia della medaglia, le imprese “senza terra” sono utilizzate per la costituzione di rapporti fittizi di lavoro agricolo: tali imprese, in molti casi dietro versamento di una somma di denaro, procurano l’iscrizione negli elenchi agricoli ad un gran numero di soggetti che di fatto non esercitano l’attività di bracciante agricolo, ma che, grazie alle denunce presentate all’INPS (alla quasi totalità delle quali non corrisponde il versamento dei contributi), risultano titolati a richiedere e percepire prestazioni a sostegno del reddito da parte dell’Istituto (malattia, maternità, trattamento di disoccupazione). Inoltre, non va trascurato il fatto che i falsi braccianti, oltre che dell’indebita percezione delle indennità, usufruiscono del regolare incremento del conto assicurativo, con la reale prospettiva di avere, al raggiungimento del requisito, il relativo trattamento pensionistico a carico della competente gestione previdenziale.
Dagli accertamenti ispettivi effettuati è emersa chiaramente questa correlazione tra lavoro nero e lavoro fittizio, fra forme irregolari di somministrazione di lavoro (implicante fenomeni di sfruttamento del lavoro e concorrenza sleale) ed instaurazione di rapporti fittizi di lavoro, a tutto vantaggio dei soggetti gestori delle imprese “senza terra”, capaci di trarre utilità sia nell’uno che nell’altro caso. In questa “filiera” dell’illegalità hanno tutti da guadagnare tranne il prestatore d’opera effettivo reclutato dal caporale/somministratore. Il somministratore ha un profitto per il solo fatto di somministrare forza-lavoro e, semmai, “vendere giornate”; del lavoratore fittizio, per l’ottenimento delle prestazioni previdenziali indebite; l’impresa utilizzatrice della manodopera beneficia del minor costo del lavoro. Quanto ai vantaggi conseguiti dalle imprese utilizzatrici, oltre al minor costo della manodopera, vi è il vantaggio indiretto di percepire le premialità AGEA senza il rischio che i contributi non pagati possano essere recuperati sulle erogazioni AGEA, dal momento che i carichi contributivi e le conseguenze dell’insolvenza ricadono sulle somministratrici.
L’attività ispettiva svolta dall’INPS ha consentito di appurare che dietro le imprese “senza terra” sono costantemente all’opera alcuni esponenti di patronato e taluni professionisti poco avvezzi alla deontologia professionale, spesso legati alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, tutti alla ricerca della disposizione che possa aggirare i controlli messi in campo dall’Istituto o a rendere vano il sistema sanzionatorio previsto dalle norme. Tra le specificità rilevate in sede di verifiche ispettive a carico di cooperative “senza terra”, vi è il gran numero di lavoratori assunti e la breve durata della vita dell’impresa stessa. Infatti, con un sistema a matrioska la cooperativa iniziale, dopo pochissimi anni (in alcuni casi già dopo il primo), cessa la sua attività per lasciare il posto ad una cooperativa di nuova costituzione che, in una vera e propria logica di transumanza, assorbe i lavoratori di quella cessata per iniziare un nuovo percorso finalizzato alle indebite percezioni e alle attività connesse. A tal proposito è significativo quanto emerso dalle verifiche svolte: gli amministratori dichiarati dalle cooperative di nuova costituzione molte volte sono giovani soggetti provenienti dall’est europeo, spesso inconsapevoli del ruolo che viene loro assegnato.
In sintesi, le attività ispettive svolte hanno svelato una serie di avvenimenti messi in atto al solo fine di condurre azioni illecite per produrre indebite utilità di vario genere, con presumibili interessi reali della criminalità organizzata, danni cospicui per le casse dell’Istituto e crepe importanti per l’economia regolare. In questo quadro di illegalità diffusa, il solo “bollino di qualità” rilasciato dalla cabina di regia, per quanto importante, rischia di rivelarsi un’arma spuntata. I numeri ridotti di imprese che hanno sin qui aderito (la regia ha ricevuto 446 richieste, di queste 53 imprese sono state ammesse e 179 ammesse con riserva su una popolazione di circa 180.000 imprese) ne sono indiretta testimonianza. Né basta l’inasprimento dei reati. Del resto il reato di intermediazione illecita di manodopera è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2011 e i fatti cui si faceva riferimento sono avvenuti dopo. Anche il rendere il reato penalmente rilevante per le imprese utilizzatrici rischia di non bastare.
Occorre infatti una strategia su più fronti: dal rafforzamento della capacità e dell’efficienza ispettiva al cambiamento delle modalità con cui vengono dichiarati i rapporti di lavoro col passaggio al sistema Uniemens, l’unico in grado di garantire la trasparenza e la velocità dell’informazione. Dalla riforma degli ammortizzatori sociali per i lavoratori agricoli alla definizione di minimi retributivi realistici e noti a tutti i potenziali prestatori di lavoro. Dall’introduzione di incentivi alla stabilizzazione di rapporti di lavoro caratterizzati da forte stagionalità proponendo anche per il mondo agricolo uno sgravio consistente ed esaustivo per i contratti a tempo indeterminato (anche part-time) all’offerta di opportunità di regolarizzazione degli immigrati impiegati nel lavoro dei campi. Spesso si concedono migliaia di nulla osta per lavori stagionali ma pochissimi permessi di soggiorno, spingendo gli immigrati verso l’illegalità.
Agendo su di un solo fronte trascurando tutti gli altri rischia solo di cambiare la natura del problema, senza risolverlo. Ad esempio, una preventiva rendicontazione dei rapporti di lavoro può fortemente ridurre, se non prosciugare, il lavoro fittizio. Ma senza rafforzare al contempo l’attività ispettiva e intervenire sulla trasparenza del mercato del lavoro e sui minimi salariali, c’è il rischio di finire per gonfiare ulteriormente il lavoro nero. Soprattutto nel Mezzogiorno i datori di lavoro hanno di fronte a loro una offerta di lavoro potenzialmente illimitata, fatta di persone (per lo più immigrati in attesa di regolarizzazione) disposte a lavorare a paghe orarie nettamente inferiori a quelle definite dagli accordi collettivi. Analogamente, l’inasprimento dei requisiti contributivi per accedere agli ammortizzatori sociali richiede necessariamente di essere accompagnato da una diversa rendicontazione dei rapporti di lavoro. Per queste ragioni, le proposte che l’Inps ha formulato alla cabina di regia sono inevitabilmente multidimensionali e vanno considerate nel loro insieme anche se i tempi della loro applicazione non potranno che risentire dei diversi gradi di difficoltà attuativa delle misure suggerite.
Da alcuni giorni l’Istituto è stato posto a conoscenza dell’esistenza di una indagine della Procura della Repubblica di Nocera Inferiore sull’erogazione di premi di produttività nel biennio 2012-2013. Secondo l’ipotesi investigativa, apprendiamo dalle agenzie di stampa, gli incentivi di produttività sarebbero stati concessi sulla base di registrazioni volutamente “gonfiate” dei risultati delle ispezioni.
Nello spirito della massima trasparenza sull’operato dell’istituto che guida il nostro lavoro, ci sembra opportuno chiarire quanto segue:
- il sistema di incentivazione del personale (non dirigente) dell’Inps non prevede modalità di remunerazione diverse per gli ispettori di vigilanza rispetto a quelle previste per la generalità del personale.
- l’incentivazione al personale è basata sulla ponderazione di indicatori di produttività e qualità. Quelli relativi all’attività di vigilanza non includono il numero delle visite ispettive e dei rapporti di lavoro annullati ma sono basati su coefficienti di accertamento per ispezione e per ispettore
- gli indicatori relativi alla attività di vigilanza utilizzati per la quantificazione del premio di risultato concorrono alla determinazione del premio per un valore pari allo 0,38%.
- per quanto riguarda specificatamente i 489 dirigenti dell’Istituto i cui obiettivi di risultato sono legati alle funzioni proprie delle aree manageriali che dirigono, gli indicatori collegati all’attività di vigilanza concorrono a determinare la retribuzione di risultato per un peso del 3,50%. L’accertato lordo conta per il 2,45% del premio complessivo.
- dei 489 dirigenti sono 26 quelli responsabili delle aree manageriali della vigilanza, concentrati nelle direzioni regionali e nelle aree metropolitane per i quali, come ovvio, l’obiettivo di risultato è determinato sulla base di parametri specifici all’area che dirigono. In particolare è collegato, per il 40,10% ai valori di accertamento conseguenti alle attività ispettive e per il 17,19% ad indicatori che misurano la produttività (data dal rapporto fra verbali ispettivi e unità di ispettori presenti nel territorio).
Con riferimento invece all’ammontare delle somme erogate nel biennio 2012-2013 a titolo di premio di produzione, la cifra di circa 400 milioni citata più volte dalla stampa rappresenta l’importo complessivamente erogato dall’Istituto ai 30.000 dipendenti come retribuzione di risultato legata alla produttività e alla qualità del servizio secondo i criteri definiti nei contratti collettivi nazionali di lavoro e nei contratti collettivi integrativi vigenti. Di questa somma l’importo erogato ai 26 dirigenti delle aree di vigilanza è, per il biennio, pari a circa 3,4 milioni.
Alla luce di quanto sopra esposto sembra possibile ritenere che, ove si rivelasse fondata l’ipotesi investigativa, il fenomeno oggetto dell’indagine possa risultare circoscritto nelle sue dimensioni. Infine, con riferimento al fenomeno dei disallineamenti fra le banche dati Inps evidenziato dagli organi di stampa, occorre rimarcare che dal singolo verbale possono essere rilevati rapporti di lavoro fittizi suscettibili di produrre effetti anche per un numero di anni superiore a quello rilevato nel verbale. Questo si vede nella banca dati gestionale “VG00”, ma potrebbe non vedersi nel singolo verbale. Inoltre i verbali si riferiscono ai singoli lavoratori mentre la banca dati gestionale ai rapporti di lavoro. Come documentato dalle statistiche dell’Inps i flussi di rapporti di lavoro sono di circa il 40% più alti dei flussi di lavoratori.
L’Istituto, come ha sempre fatto nei sui 110 anni di storia, continuerà ad offrire massima collaborazione alle autorità inquirenti affinché le eventuali responsabilità siano prontamente chiarite a tutela della sua immagine e della reputazione dei 30.000 dipendenti che quotidianamente svolgono il loro lavoro con orgoglio e spirito di servizio.