Nel 2015 solo il 37% dei lavoratori italiani si aspetta un miglioramento dell’economia, mentre lo scorso anno vedevano in positivo sei dipendenti su dieci e nel 2011 sette su dieci. Un pessimismo che si ripercuote anche sul futuro della situazione professionale dei dipendenti: appena il 39% attende un aumento di stipendio e il 45% un bonus, mentre a fine 2013 erano più della metà. Inoltre, diminuisce l’aspirazione ad una promozione e il desiderio di iniziare un lavoro diverso.
A fine 2014, crollano gli indicatori della fiducia del futuro dei lavoratori italiani, che pure avevano dimostrato un persistente ottimismo durante tutti gli anni della crisi economica. I segnali positivi vengono però dall’attenzione posta sullo sviluppo del talento, ritenuto un’opportunità di crescita personale dall’81% dei lavoratori, e dal riconoscimento del ruolo di innovazione della cosiddetta Generazione Z, quella dei 14-19enni che si stanno per affacciare al mondo del lavoro.
E’ quanto emerge dal Randstad Workmonitor, l’indagine realizzata nel quarto trimestre 2014 da Randstad, secondo player al mondo nei servizi per le risorse umane, che alle porte del 2015 ha monitorato l’atteggiamento dei lavoratori verso il futuro in 34 Paesi nel mondo. La popolazione di riferimento dello studio (che ha realizzato oltre 400 interviste in Italia) è costituita da persone con età compresa tra i 18 e i 65 anni che lavorano per almeno 24 ore alla settimana e che percepiscono un compenso economico per questa attività.
“Nella fotografia scattata dal Workmonitor, di fronte ad un trend globale di crescente ottimismo verso l’economia e di riflesso anche della propria condizione professionale, l’Italia appare in controtendenza, mostrando evidenti segnali di sofferenza e scoraggiamento – commenta Marco Ceresa, AD di Randstad Italia -. Dopo anni di perdurante ottimismo, a tratti quasi sorprendente, visto l’asprezza della crisi economica che ha colpito il nostro Paese, gli indicatori italiani mostrano un’improvviso crollo della fiducia. Si tratta di un segnale preoccupante, che è necessario contrastare valorizzando i punti di forza del nostro modello e quegli elementi positivi che emergono dal mercato del lavoro. Ad esempio, come rivela la nostra ricerca, l’alto livello di attenzione allo sviluppo del talento come opportunità di crescita personale – prosegue Ceresa -. Un’attenzione ormai condivisa da dipendenti e datori di lavoro, entrambi consapevoli di come l’occupabilità sia una delle parole d’ordine nel mondo del lavoro attuale: il talento è la chiave per rimanere appetibili dal mercato. E poi il positivo riconoscimento del ruolo della Generazione Z come portatrice dei innovazione in azienda, soprattutto attraverso una nuova cultura tecnologica. Ai giovani che si affacciano oggi alla prima esperienza di lavoro, servono però adeguati percorsi di mentorship da parte dei lavoratori più anziani per consentire il successo dell’inserimento”.
Le previsioni per il 2015 – Solo il 37% dei lavoratori dipendenti italiani si aspetta che la situazione economica del proprio Paese migliori nel 2015, contro una media globale del 58%. Rispetto ad un anno fa, a livello globale si respira un cauto ottimismo, con un incremento medio del 9% nell’aspettativa di un miglioramento dell’economia, soprattutto grazie al contributo positivo di un numero limitato di pochi Paesi dell’America Latina e dell’Asia (rispettivamente con una media dell’89% e del 66%), mentre si nota una minore euforia sul versante europeo. A livello italiano, invece, la fiducia nel futuro mostra un improvviso crollo (-23% in un solo anno), dopo aver tenuto negli anni appena passati. A fine 2013, infatti, il 60% dei lavoratori italiani si aspettava un miglioramento della situazione economica del Paese, a fine 2012 il 64% e a fine 2011 il 70%. Il decremento mostrato dall’Italia rispetto ad un anno fa non ha eguali nel resto dei 33 Paesi oggetto di indagine, nonostante altri 8 casi di peggioramento della fiducia.
Ma questo non è l’unico sintomo del clima depressivo che colpisce i lavoratori italiani. Il 39% dei dipendenti si aspetta di ricevere un aumento di stipendio alla fine dell’anno, un dato inferiore alla media media globale (pari al 52%) e soprattutto in pesante calo rispetto a quanto rilevato in Italia a fine 2013, quando ad attendere un aumento era il 53% dei dipendenti, e ancor più a fine 2011 (54%). Allo stesso modo, solo il 45% dei lavoratori italiani di aspetta di ricevere un premio o un bonus (la media globale è del 50%), rispetto al 55% di un anno fa e al 56% di fine 2011 (si nota però un calo anche a livello globale. Analizzando inoltre gli indicatori che in questi anni hanno raccontato la persistenza dell’ambizione professionale degli italiani, si assiste al calo del 5% dell’aspirazione ad una promozione (che interessa il 25% dei lavoratori a fine 2014) e al calo del 4% del desiderio di iniziare un lavoro diverso (che riguarda il 14%).
L’attenzione al talento – In un contesto a tinte fosche, un segnale positivo viene dal valore particolarmente elevato che fa registrare l’Italia nell’attenzione allo sviluppo del talento. L’81% dei lavoratori italiani – una percentuale più alta della media globale, pari al 79%, e della media europea, pari al 74% – concorda sul fatto che l’attenzione per lo sviluppo dei talenti sia un’opportunità di crescita personale. Quattro dipendenti italiani su dieci ritengono che il loro lavoro attuale sarà automatizzato entro il prossimo decennio. E non mancano le implicazioni negative, con ben il 38% che arriva a sentirsi oppresso per l’interesse posto sul talento nel timore di non riuscire a stare al passo. In questo percorso, però, il lavoratore italiano si sente abbastanza appoggiato dall’impresa. Il 58% dei dipendenti ritiene che il suo datore di lavoro gli permetta di definire automaticamente il proprio percorso di carriera (il 57% nella media globale, il 50% della media europea). E per il 49% dedica più tempo e risorse per lo sviluppo del talento di 10 anni fa (contro il Il 54% della media globale).
La Generazione Z – Dopo aver appreso della Gen X e Y Gen, è giunto il momento di prepararsi alla Gen Z, quella dei 14-19enni di oggi, che tra oggi e i prossimi 5 anni si affacceranno al mercato del lavoro. Cosa porterà nel mondo del lavoro? Secondo il il 68% dei lavoratori italiani (in linea con la media globale, 70%) la Gen Z appare più propensa a richiedere modalità di lavoro flessibili rispetto alle generazioni più anziane. E per il 47% (48% a livello globale) il suo datore di lavoro è ben preparato a soddisfare le richieste di questa generazione.
Ma, soprattutto, i lavoratori attualmente in forza pensano che la generazione degli attuali 14-19enni possa portare un contributo positivo alla cultura tecnologica: il 62% ritiene di potere imparare molto sull’uso della tecnologia (media globale 67%). Una quota minore, il 39%, crede di potere imparare anche in termini di equilibrio tra lavoro e vita privata (stessa percentuale a livello globale). Quindi, se da un lato c’è il chiaro riconoscimento della competenza tecnica dei più giovani, dall’altro lo stile di vita attribuito alla Generazione Z non è particolarmente appetibile. Anche se secondo il 77% dei lavoratori italiani – ben superiore alla media globale pari al 65% – le aziende hanno bisogno che la Generazione Z sia “veramente innovativa”.
Perché l’integrazione della Generazione Z abbia successo, ad ogni modo, servono azioni di coaching da parte dei colleghi più anziani. Per i lavoratori italiani siamo già abbastanza pronti, perché oltre metà dei datori di lavoro (52%, comunque meno del 58% della media globale) promuove già attivamente azioni di mentorship di questo tipo.