L’epidemia in corso ha fatto dal volano, forzato, allo sviluppo e di applicazione di modalità di lavoro, di formazione, di intrattenimento, di acquisto e altro ancora in modalità digitale e a distanza. Paradossalmente, uno dei comparti più colpiti, il sistema sanitario, invece, sembra aver ignorato questa tendenza. Eppure parliamo da anni di telemedicina. E dei suoi vantaggi, di assistenza medica a distanza grazie alle tecnologie digitali, ma senza aver fatto quasi nulla. La telemedicina grazie anche all’emergenza coronavirus è di strettissima attualità. Ne parliamo con il prof. Sergio Pillon, angiologo e tra i massimi esperti di telemedicina in Italia e in Europa. E’ stato fino al 2019 il coordinatore della Commissione paritetica sulla telemedicina promossa dal Ministero della Salute. Oggi è membro del gruppo di lavoro sulla digital health delle Europan Public Health Alliance ed esperto presso l’Istituto Superiore di Sanita sulle Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica..
L’epidemia del coronavirus, tra i tanti impatti che ha sulle nostre vite, ha anche un effetto incentivo, soprattutto per necessità, sulla diffusione di pratiche digitali in molti ambiti: il lavoro con lo smart working, la formazione con lo smart learning, il commercio elettronico per gli acquisti e cosi via. Insomma, tutto ciò che si può fare a distanza grazie alle nuove tecnologie sta avendo un boom di crescita. Manca, però, all’appello la telemedicina o telesalute. Eppure, vista l’esigenza vitale di gestire tutto il possibile senza contatti fisici, soprattutto nelle strutture sanitarie in questo momento, la telesalute dovrebbe essere una priorità. Invece non se ne parla. Perché? Non siamo un Paese digitale?
La telesalute è uno strumento che non si improvvisa. L’Italia, purtroppo, ha decenni di ritardo dal punto di vista dello sviluppo digitale: siamo il 24esimo paese su 28 per il DESI, l’indice che misura la digitalizzazione delle nazioni. L’enorme ritardo generale sul digitale ha inevitabili ripercussioni sullo sviluppo della telemedicina nel nostro Paese, e di fatto, ha portato ad un sistema sanitario impreparato da questo punto di vista, nonostante gli indubbi vantaggi che questa comporterebbe in generale e in modo particolare in periodo di emergenza epidemica come quello che stiamo vivendo. Pensiamo alla popolazione anziana, e non intendo gli ultraottantenni ma gli over 65 che sanno usare uno smart phone per capirci, e assistiamo quotidianamente al movimento di massa di molti di loro che vanno in banca, alla posta, dal medico, in farmacia, ai Caf dei sindacati per le pratiche e così via. E’ evidente che un simile movimento sociale li espone a rischi seri di contagio. Molte di queste attività, penso alla ricetta elettronica per fare un esempio attuale, svolte in modo fisico potrebbero essere svolte in modalità digitale con enormi vantaggi per tutti. Siamo, invece, un paese culturalmente analogico e quindi poco affini ad utilizzare le potenzialità della telemedicina che soprattutto ora avrebbe evitato tanti contagi anche tra i medici. Ma la responsabilità di questa arretratezza è in capo soprattutto ai decisori, politici e manageriali. Sono certo che molti dei nostri anziani, assisiti anche dai famigliari più giovani, sarebbero pronti per utilizzare i normali smartphone anche per attività di telemedicina.
Facciamo un passo indietro. Cos’è la telemedicina e quali vantaggi porterebbe alla sanità e soprattutto, visto il momento, alla gestione sanitaria dell’epidemia da Covid 19? Tra i principali luoghi in cui ci si può ammalare ci sono gli studi medici o le farmacie, per esempio, sovente frequentate da numerosi anziani. Come ci è di aiuto la telemedicina?
Più che di telemedicina parlerei di Telesalute. Operativamente abbiamo almeno quattro ambiti di applicazione della telesalute di grande impatto per la gestione dell’emergenza epidemica e in generale per il futuro. Parliamo della Televisita, che può essere fatta “live” con un sistema di videochiamata (sincrona) o in modalità “store and forward”: si mandano le analisi ed il medico risponde con una valutazione. Ogni visita spessissimo si conclude con una prescrizione. Poi c’è il Telemonitoraggio: il paziente acquisisce parametri al domicilio tramite un dispositivo ed un medico o un infermiere li valutano, contattando il paziente (televisita) se ci sono problemi. E’ l’unica cosa fatta oggi su piccoli gruppi di pazienti nelle regioni italiane, quasi sempre in via sperimentale, forse anche perché ci sono tanti produttori di soluzioni specifiche, che spingono la propria piattaforma. Abbiamo poi Telecooperazione sanitaria: due professionisti che collaborano a distanza. Ad esempio, presso il paziente è presente un infermiere che dialoga con un medico o uno specialista. Anche questa cooperazione può essere occasionale (teleconsulto) o continua. Può essere una “second opinion” su elementi raccolti ed inviati o fatta “in presenza”. Infine esiste la Teleassistenza, il supporto da remoto alle persone fragili, alla disabilità. Non si tratta di un vero e proprio atto sanitario ma di uno strumento di tipo socio-sanitario.Il valore di queste quattro modalità della telesalute è enorme non solo in termini di miglior funzionamento del sistema salute ma anche per monitorare e curare le persone.
Come siamo messi in Italia dal punto di vista delle norme e delle iniziative pubbliche per promuovere la telemedicina?
Nella seduta del 20 febbraio 2014 la Conferenza Stato-Regioni ha sancito l’Intesa sulle Linee di indirizzo nazionali sulla Telemedicina. Tale documento, predisposto da un apposito tavolo tecnico istituito nell’ambito del Consiglio Superiore di Sanità nel febbraio 2011, è stato successivamente oggetto di un percorso di condivisione con le Regioni e le Province autonome a cura del Ministero della Salute. Le Linee di indirizzo nazionali delineano un quadro strategico nel quale collocare gli ambiti prioritari di applicazione della telemedicina. L’intesa acquisita rappresenta un risultato particolarmente rilevante tenuto conto della necessità, non più procrastinabile, di ripensare il modello organizzativo e strutturale del servizio sanitario nazionale del nostro Paese, rispetto alla quale la diffusione sul territorio dei servizi di Telemedicina può costituire un importante fattore abilitante. Il recepimento delle Linee di indirizzo nazionali sulla Telemedicina doveva essere valutato in sede di adempimenti LEA. Le Regioni, purtroppo, sono in colpevole (colposo o volontario?) ritardo avendo fatto ben poco di strutturale in questo settore, attuando al massimo qualche percorso di telemonitoraggio (tanti ninnoli dati a casa di qualche poverino che spesso li ha restituiti dopo poco perché era troppo complesso usarli). Tali linee di indirizzo le Regioni le hanno recepite nella legislazione regionale, perché ne avevano l’obbligo ma forse non le hanno neppure lette. Molto è rimasto sulla carta.
Lei ha guidato la commissione che avrebbe dovuto introdurre le linee di sviluppo della telemedicina in Italia. Cosa non ha funzionato?
Le linee di indirizzo (dimenticate) dal 2014 andavano aggiornate, bisognava supportare le Regioni per attuarle. Il ministro di allora, Lorenzin, e la conferenza Stato-Regioni su questo tema hanno nominato ed insediato a Settembre 2015 la commissione che sono stato onorato di coordinare, la Commissione paritetica “Telemedicina – Linee di indirizzo nazionali” con il compito di “monitorare eventuali profili critici connessi ad aspetti normativi e regolamentari conseguenti all’introduzione della Telemedicina e di formulare proposte, anche di tipo normativo, al Ministero della Salute. Le regioni e le province autonome si impegnano a comunicare alla commissione gli eventuali profili critici. La commissione trasmette annualmente al Ministero della salute e alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome una relazione sui profili critici eventualmente emersi nell’applicazione delle Linee di indirizzo. Il recepimento di linee di indirizzo da parte delle regioni e province autonome è valutato in sede di verifica annuale degli adempimenti regionali da parte del Comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza”. Alla scadenza della commissione nel 2019 nessuno ci ha voluto degnare di una udienza per ascoltare quello che avevamo da dire, anzi hanno ricominciato con le “indagini conoscitive sulla telemedicina italiana”!Ci voleva COVID 19 per capirlo?
Il tema della salute e della cura degli anziani è molto importante per una molteplicità di ragioni, oltre ovviamente quelle umane: ragioni demografiche, anagrafiche, sociali, economiche. La telemedicina può essere di grande aiuto, ma c’è un tema di digital divide generazionale che potrebbe frenare la diffusione della medicina a distanza oppure questo è un falso problema?
Sì, è un falso problema. Gli anziani sono gli over 65, i pensionati, ed oltre il 90% di loro usa uno smartphone che rappresenta una degli strumenti principali per sviluppare la telemedicina tra i pazienti. E poi, come detto e come già avviene, gli anziani con meno confidenza con questi strumenti posso farsi aiutare dai propri familiari più giovani, dai figli e nipoti. Questo è più che sufficienti per cambiare il Sistema sanitario nazionale. Il vero problema, come detto, non è nella presunta mancanza di cultura digitale dei nostri anziani, ma nelle “non scelte” fatte a monte da chi dovrebbe decidere in tal senso.
Per la piena affermazione della telemedicina in Italia c’è una questione di scarsità di risorse? Servirebbero ingenti investimenti per la sua diffusione oppure ci sono le condizioni finanziarie per avviare un graduale o addirittura un ampio programma di sviluppo? Il privato può giocare un ruolo importante oltre al pubblico?
Servono investimenti, ma soprattutto di tipo culturali. Su 150 direttori generali quelli che sanno qualcosa di modelli di innovazione digitale si contano sulle dita di una mano. Dobbiamo inserire il tema della Digital Leadership come formazione obbligatoria per il top management del SSN, per direttori di dipartimenti, direttori sanitari, direttori amministrativi, direttori di unità operative complesse. Nelle mani di 150 direttori generale c’è tutto il budget della sanità Italiana. Modelli nazionali coordinati centralmente su fondi vincolati, poi, è la seconda strategia, complementare alla prima. Dobbiamo rendere la televisita, il telemonitoraggio, la teleassistenza e il teleconsulto come obbligo LEA per rendere immediatamente operativo il Sistema sanitario nazionale su questo fronte. Il privato sta investendo, fa esperienza e crea modelli virtuosi che possono essere implementati in fase iniziale senza alcun investimento da parte del SSN con il solo meccanismo della convenzione.
Come cambiare modello? Si parla di salute 4.0 e medicina sistemica.
Dobbiamo cambiare modello. Il concetto di cronicità è superato nella “salute 4.0” che parte dall’assunto della medicina “personalizzata”. Invece di creare gruppi, i “cronici”, che poi sarebbero tutti gli over 65 italiani senza poter capire quale sia la cronicità predominante (perché ognuna lo diventa di volta in volta in funzione dei contesti), si usa una medicina, abilitata dal digitale e dai dati, adattata alla singola persona. I “cronici” sono un concetto analogico, le persone sono il concetto digitale. Possiamo arrivare ad una personalizzazione delle cure, una sorta di “pret a porter” della salute, da cui scegliere di volta in volta la giusta “taglia, colore, tessuto”. E si fa con i dati sulla stessa persona nel tempo: dalla telemetria ai referti, un fascicolo sanitario elettronico abilitato da servizi di big data, oggi inestinte e non implementabile, visto che molti hanno ancora i pdf come dati di fascicolo. La medicina sistemica è un nuovo approccio alla medicina. È il primo passo nel percorso verso la medicina personalizzata. La medicina dei sistemi si basa anche su modelli computerizzati, in cui grandi quantità di dati clinici sono utilizzati per analizzare la salute dei singoli pazienti. La medicina sistemica promette di approfondire la nostra comprensione dei meccanismi delle malattie, di aumentare l’efficacia dei trattamenti e di ridurre i costi dell’assistenza sanitaria. In definitiva, queste tendenze verso un approccio più personalizzato possono cambiare radicalmente l’interazione tra pazienti, medici e altri operatori sanitari. Il risultato? La cura corretta, alla persona che ne ha bisogno, quando ne ha bisogno.
Il sistema politico, sanitario, professionale in generale è favorevole all’investimento sulla telemedicina oppure ci sono delle resistenze, di vario tipo, al cambiamento?
Diceva Niccolò Machiavelli ne Il Principe: “E debbasi considerare come è non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre nuovi ordini”. E credo che oggi le motivazioni delle resistenze al cambiamento siano ancora le stesse. Nelle scuole di management si insegna che la frase più pericolosa da ascoltare è quella di chi dice “abbiamo fatto sempre così e le cose sono andate bene. Continuando a fare nello stesso modo le cose continueranno ad andare bene”. Questi concetti purtroppo sono alla base della resistenza al cambiamento anche in medicina. La lezione? Il basso propone ma il cambiamento deve essere spinto con forza dall’alto.