Con la sentenza n. 27528 del 25.6.2014 la Corte di Cassazione ha ribadito un consolidato orientamento in ordine alla natura plurioffensiva della condotta di un dipendente pubblico che, durante l’orario di lavoro, abbia impropriamente utilizzato il pc in dotazione sfruttando in maniera illecita la connessione internet.
In estrema sintesi, il caso di specie riguarda un dipendente pubblico il quale, durante l’orario di lavoro ed approfittando dell’assenza dell’addetto all’ufficio, risultava aver inopinatamente sfruttato il collegamento internet del pc aziendale per accedere a siti pornografici, distogliendo, peraltro, tale apparecchiatura informatica dalla finalità cui era preposta, ossia il monitoraggio, 24 ore su 24, dell’impianto pubblico di illuminazione comunale.
Alla luce di tali condotte, sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello, ritenevano il lavoratore colpevole del reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p., oltreché di quello di interruzione di pubblico servizio di cui all’art. 340 c.p. . Alle medesime conclusioni è giunta, da ultimo, la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in commento, avendo, per l’appunto, ritenuto che la condotta del lavoratore imputato, il quale, “approfittando dell’assenza dell’addetto all’ufficio ed avendo la disponibilità dei locali anche al termine delle attività di ufficio, invece di provvedere unicamente alle pulizie avesse scelto di utilizzare il computer per visitare siti pedopornografici”, integra entrambi i reati ascrittigli.
In particolare, con riferimento al reato di appropriazione indebita, i Giudici di legittimità hanno ritenuto del tutto irrilevante quanto eccepito dall’imputato secondo cui “la parte offesa non avrebbe avuto danni perché la Società aveva stipulato un contratto flat (…) che comportava un unico e solo costo (periodico) per l’azienda”, dal momento che tale reato trova fondamento “non nell’uso dell’apparecchio telefonico come oggetto fisico, ma nell’appropriazione delle energie costituite da impulsi elettronici che erano entrate a far parte del patrimonio della parte offesa”.
In secondo luogo, con la sentenza in oggetto la Suprema Corte ha altresì accertato la commissione da parte del dipendente dell’ulteriore reato di interruzione di pubblico servizio, dal momento che l’imputato, “distogliendo il computer dalla gestione dell’impianto pubblico di illuminazione comunale per destinarlo all’accesso ai siti pornografici, ha interrotto per la durata dei collegamenti illeciti, il servizio di monitoraggio svolta nell’interesse pubblico, realizzando il reato contestato di cui all’articolo 340 codice penale”.
In conclusione, la sentenza in esame, del tutto coerente con la consolidata giurisprudenza intervenuta sul punto, sottolinea ancora una volta l’assoluta gravità della condotta del dipendente che, durante l’orario di lavoro, abusi impropriamente del pc in sua dotazione, offrendo evidenza, in particolare, dei rilevanti risvolti di natura penale associati a tale condotta, nel caso di specie aggravati altresì dalla natura pubblica del rapporto lavorativo.