Lo University Report dell’Osservatorio JobPricing, quest’anno in collaborazione con Spring Professional, tenta di rispondere a queste domande e a fare più chiarezza sul rapporto fra istruzione universitaria e retribuzione.
La situazione generale
L’Italia spende mediamente meno degli altri Paesi per l’istruzione: La spesa per istruzione in termini di PIL tra le più basse d’Europa (circa 4% vs 4,6% media UE) e la più bassa in termini di percentuale della spesa pubblica (8,2% vs 9,9% UE). La categoria più lesa però è l’istruzione terziaria: si spende, infatti, circa 8% sul totale della spesa pubblica in istruzione, contro una media Europea del 16,4%.
In Italia solo il 19,6% della popolazione ha un titolo di studio accademico, contro il 33,2% medio dei paesi OECD. Se si considerano i giovani (25-34 anni) si sale al 27,7% contro il 44,9% della media OECD. Ci posizioniamo penultimi nella classifica OECD subito prima di Messico. Il tasso di abbandono scolastico si attesta al 13,5% contro un 10,2% europeo. La pandemia ha incentivato l’abbandono scolastico, in quanto la cosiddetta DAD (didattica a distanza) ha negativamente impattato sul coinvolgimento dei ragazzi più a rischio di abbandono.
Abbiamo la più alta incidenza di NEET in Europa e un livello di disoccupazione tra i più alti d’Europa: Nel 2020 sale di un punto percentuale raggiungendo il 25% dei giovani tra i 15 e 34 anni contro il 24% del 20219 e il 30% dei giovani tra i 25 e i 34 anni contro il 29% del 2019. La disoccupazione dei giovanissimi (15-24 anni) nel nostro paese è tra le più alte d’Europa e dei paesi OECD, attestandosi a circa il 29% contro circa 17% dell’Europa e circa 12% della OECD, inferiore solo al Costa Rica, Spagna e Grecia.
Nel contesto della crisi pandemica, sono stati i giovanissimi laureati a pagare il prezzo più alto della crisi sanitaria: L’occupazione della fascia di età 15-24, nell’ultimo anno, è diminuita di 3,9 punti percentuali, a fronte di un aumento della disoccupazione giovanile di 6,3 punti percentuali. La pandemia da COVID-19, congelando il mercato del lavoro, ha di fatto impedito ai neolaureati di accedere al mercato del lavoro.
Durante la crisi pandemica, l’occupazione dei laureati è stata quella che meglio ha retto al “congelamento” del mercato del lavoro: tra il 2019 e il 2020 la variazione registrata per gli inattivi laureati risulta essere la più bassa tra tutti i livelli (1,8 contro 2,7 dei diplomati; 4,4 per licenza di scuola media e 9,3 per licenza elementare o nessun titolo).
Dalla crisi del 2008 ad oggi il tasso di disoccupazione dei laureati è l’unico ad essere rientrato ai livelli pre-crisi: Malgrado l’aumento generalizzato della disoccupazione l’aumento per i più istruiti è stato più contenuto, tanto da essere l’unica classe ad essere rientrata nei livelli del 2009 (11,3 nel 2020; 11,6 nel 2009).
Il 24,6% sul totale degli occupati è costretta a rivedere al ribasso le proprie aspettative e ad adattarsi a svolgere un mestiere per cui è richiesto un titolo di studio inferiore a quello di cui è in possesso: Secondo il Rapporto Almalaurea 2020 sulla condizione degli occupati, questo fenomeno è in crescita: tra il 2008 e il 2018 è cresciuto del 5,7%. Il 33,5% degli occupati in possesso di un titolo di studio terziario svolge un lavoro per il quale basterebbe un titolo di studio inferiore e circa il 15% dei laureati giudica il titolo di studio poco o per nulla efficace a 5 anni dal conseguimento.
Fra laureati e non laureati c’è una differenza retributiva di circa 12.000€ lordi nella RAL (39.881 € vs 27.566 € – 46%). Il Gap retributivo tra laureati e non laureati cresce a seconda delle fasce di età. Nella fascia tra i 15 e i 24 anni è in media del 10% e arriva al 64% nella fascia tra i 45 e i 65 anni di età. Inoltre, i salari di chi ha un master di secondo livello crescono tre volte tanto i salari di chi ha solo un’istruzione superiore.
Lo stipendio cresce al crescere del titolo di studio: un laureato italiano in media ha una retribuzione del 40% superiore ad un non laureato e un master di secondo livello vale il 14% in più rispetto alla laurea magistrale. Inoltre, il 46% di chi ha un master di secondo livello è dirigente o quadro, mentre solo il 5% dei diplomati di scuola superiore arrivano a ricoprire tali cariche. Un titolo di studio terziario è quindi un acceleratore di carriera e quindi un veicolo per raggiungere stipendi maggiori.
Le classifiche
Le università private offrono le migliori prospettive di carriera e di guadagno: laurearsi in una università privata garantisce un salario più alto del 12% rispetto alle pubbliche e del 2% rispetto ai politecnici. I laureati in atenei privati guadagnano in media 43.045 €, mentre chi è laureato in università statali 38.350 € e chi nei politecnici 42.369 €.
Laurearsi in ingegneria e discipline scientifiche offre le migliori prospettive occupazionali: Nella classifica stilata da Alma Laurea (2020) i laureati dei gruppi ingegneria, scientifico, chimico-farmaceutico e medico (che comprende anche le professioni sanitarie) e nelle discipline STEM hanno più probabilità di trovare un impiego a un anno dalla laurea. Meno favoriti, invece, sono i laureati dei gruppi disciplinari psicologico, giuridico e letterario.
Le facoltà che prospettano le migliori e le peggiori retribuzioni (tra i 25 e i 34 anni). Le migliori: Scienze Biologiche (35.782 €; +19,5% della media) Scienze Giuridiche (34.656 €; 15,8% della media) Scienze Fisiche (34.425 €; +15% della media) Le peggiori: Scienze storiche e filosofiche (25.620 €; -14,4% della media), Lingue e letterature straniere e moderne (25.543 €; -14,7% della media), Scienze pedagogiche e psicologiche (25.507€; -14.8% della media).
Le facoltà che prospettano le migliori e le peggiori crescite retributive (da 25-34 anni a 45-54 anni). Le migliori: Ingegneria Chimica e dei Materiali (98,4%), Scienza chimiche (85,6%), Scienze economiche (79,4%). Le peggiori: Scienze matematiche e informatiche (35%), Scienze pedagogiche e psicologiche (30,7%), Scienze fisiche (18,3%).
Le università che prospettano le retribuzioni migliori e peggiori (tra 25 e i 34 anni): Le università dove si guadagna di più sono: l’Università Commerciale Luigi Bocconi (34.662€; +15,8% dalla media), Politecnico di Milano (32.308 €; +7,9% dalla media), LUISS Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli (31.870€; + 6,5% dalla media). Le peggiori: Università degli Studi di Messina (29.087 €; -2,8% dalla media), Università degli Studi di Perugia (29.013 €; -3,1% dalla media), e Università degli Studi di Cagliari (28.706 €; -4,1% dalla media)
Le università che prospettano i migliori e peggiori incrementi sulle retribuzioni (da 25-34 anni a 45-54 anni): le università con i migliori percorsi di carriera sono l’Università Cattolica del Sacro Cuore (+82,8%), LUISS Libera università int. degli studi sociali Guido Carli (79%) e l’Università Commerciale Luigi Bocconi (71,2%). Quelle i peggiori sono l’Università degli Studi di Messina (46,2%), l’Università degli Studi di Napoli Parthenope (46%), Università degli Studi della Calabria (43,6%).
Le università che prospettano le migliori e le peggiori possibilità di ricoprire ruoli apicali: In cima alla classifica l’Università Commerciale Luigi Bocconi con il 16% dei laureati che diventa dirigente e il 27,6% quadro, LUISS Libera università int. degli studi sociali Guido Carli con il 10,7% dirigente e il 24,3% quadro e il Politecnico di Milano con il 9,8% dirigente e il 21,5% quadro. In fondo alla classifica troviamo il Politecnico di Bari con il 3,4% dirigente e 20,4% quadro, l’Università degli Studi di Napoli Parthenope con il 3,4% dirigente e 16,3% quadro e Università degli Studi di Milano Bicocca 2,3% dirigente e 13,5% quadro.
L’investimento nell’istruzione terziaria è elevato ma richiede tempo: il pareggio dei costi sostenuti una volta che si entra nel mondo del lavoro e si comincia a guadagnare si raggiunge in media in 16,8 in sede e 20 anni fuori sede.
Le università con cui si ripagano più velocemente gli investimenti sostenuti durante il percorso di studi (n. anni per studenti in sede e furi sede): In cima alla classifica troviamo il Politecnico di Milano (13,6 anni in sede; 16,7 fuori sede), l’Università Commerciale Luigi Bocconi (13,9 anni in sede; 16,5 furi sede), il Politecnico di Torino (14.2 anni in sede; 16,5 anni fuori sede). In fondo alla classifica troviamo l’Università degli Studi di Napoli Parthenope (18 anni in sede; 20,9 anni fori sede), l’Università degli Studi di Messina (19,1 anni in sede; 21,1 anni fuori sede) e l’Università degli Studi di Cagliari (19,7 anni in sede; 22 anni fuori sede).