General Electric Healthcare Italia, divisione medicale di General Electric, che si occupa della commercializzazione e assistenza tecnica su apparecchiature elettromedicali, ha organizzato una company visit diversa dal solito per gli studenti del Politecnico di Milano. Oltre alla canonica visita in azienda, GE Healthcare ha coinvolto gli studenti partecipanti con delle azioni “sul campo”, nel tentativo di avvicinare i ragazzi al loro futuro professionale per garantirgli una scelta più matura e consapevole del loro percorso. Anche in un ambito “ostico” come quello del biomedicale: i giovani coinvolti sono stati divisi in 4 gruppi, ognuno dei quali mirato ad approfondire un determinato aspetto del settore. Dalla visita al Centro Cardiologico Monzino per studiare il meccanismo di una tac appena installata in Italia, a una dimostrazione pratica del funzionamento di un ecografo, con la possibilità di assistere dal vivo a un esame al grembo di una donna incinta.
L’iniziativa rispecchia l’impegno di GE per l’avvicinamento di scuola e mondo del lavoro, raggiungibile non soltanto attraverso leggi o riforme ma anche grazie a progetti concreti che coinvolgano imprese e università, come in questo caso. Abbiamo intervistato Alessia La Croce, direttore risorse umane di GE Healthcare Italia per farci raccontare il senso di questa iniziativa.
Qual è il significato del progetto realizzato con gli studenti del Politecnico di Milano?
Si tratta di un’iniziativa che rappresenta un reale momento di incontro tra azienda e studenti universitari. Due gli obiettivi di fondo: la ricerca di talenti che in futuro potrebbero essere inseriti in azienda, e dare un concreto aiuto ai ragazzi nel loro orientamento al mercato del lavoro quando si troveranno nella fase di ricerca delle posizioni più adatte al loro percorso di studi coerentemente con quelle più ricercate dalle imprese. Questo è il doppio scopo del programma. Un progetto innovativo partito in modo sperimentale lo scorso anno presso l’Università di Pavia, iniziativa a cui era seguito l’incontro tra i nostri tecnici e i ragazzi dell’Istituto Tecnico Leonardo da Vinci di Firenze. Il target di riferimento del programma sono stati gli studenti dell’ultimo anno della laurea magistrale in ingegneria biomedica del Politecnico di Milano.
Nello specifico come si è svolta l’iniziativa?
Il programma si è sviluppato intorno a 5 eventi tutti in Lombardia. Il primo evento si è tenuto il 5 maggio scorso a Milano ed è stato strutturato in due parti: nella prima i membri del nostro leadership team hanno incontrato i ragazzi e raccontato cosa vuol dire lavorare nel nostro Gruppo, mentre l’altra metà della giornata è stata dedicata a delle simulazioni di casi reali e concreti che i nostri manager devono affrontare nel corso dell’attività lavorativa quotidiana. Li abbiamo fatti lavorare su casi reali è immersi nella realtà del lavoro. La seconda fase del programma, in particolare, ha rappresentato il cuore del progetto, con quattro uscite sul campo nel corso delle quali gli studenti hanno affiancato i nostri professionisti presso i clienti. Abbiamo deciso di intitolare questa parte del progetto come “Walking in your shoes”.
Per loro si trattava di una prima esperienza sul campo? Come hanno reagito?
Può sembrare incredibile, ma per la totalità dei ragazzi coinvolti si è trattato del primo contatto concreto e reale con l’ambiente di lavoro di “sbocco”. Gli abbiamo mostrato come funziona un sistema It, facendoli entrare in un reparto di radiologia, e illustrandogli il percorso di un macchinario dalla lettura della scheda tecnica fino all’utilizzo da parte del medico. In tutto abbiamo coinvolto 20 studenti
Il feedback dei ragazzi coinvolti è stato molto positivo. Gli studenti, oltre ad avere scarsi contatti con il mondo del lavoro reale, escono da percorsi di laurea pensando che lo sbocco professionale sia di un certo tipo, o comunque limitato rispetto alle reali opportunità che il mercato del lavoro può offrire. Noi non li abbiamo coinvolti in una sessione didattica in cui ci interessava presentare l’azienda. Al contrario, gli abbiamo fatto “toccare con mano” il mondo del lavoro nel quale dovranno entrare con l’obiettivo di allargare i loro orizzonti professionali. Nello specifico molti ragazzi pensano che lo sbocco naturale del loro percorso di studi nel campo biomedicale sia solo nel settore ricerca e sviluppo, mentre in realtà esistono altre possibilità con importanti prospettive di carriera e di crescita. Lo scopo della nostra iniziativa è anche quello di colmare questo gap “percettivo”.
Quanto è importante per le aziende la formazione sul campo rispetto ad un formazione più nozionistica?
La formazione in sé rappresenta un aspetto irrinunciabile per General Electric. Per noi ha una valenza strategica. Gli ultimi anni di crisi hanno spinto molte aziende a ridurre e ridimensionare le varie voci di costo, tra cui anche la formazione, che da noi non è mai stata messa in discussione. Vantiamo, inoltre, anche centri di eccellenza per la formazione che noi chiamiamo Università di General Electric. La formazione tecnica è fondamentale, a maggior ragione nella nostra divisione: operiamo nel settore della sanità e abbiamo a che fare con macchinari di elevata tecnologia. Il nostro personale, inoltre, è sempre coinvolto in processi di formazione, compresi quelli in soft skills. L’80 per cento dei nostri dipendenti riceve formazione “On The Job” ogni anno.
I giovani che escono dalle nostre università, nel caso specifico, sono già pronti per essere inseriti in azienda oppure si riscontra un certo gap tra le esigenza aziendali e i percorsi di formazione delle università?
Sicuramente il gap esiste e non lo sottovalutiamo, anzi. Devo dire, tuttavia, che riscontro una fortissima volontà da parte delle aziende e delle università di colmare questa lacuna. Progetti come quello in questione rappresentano un vantaggio per tutti: aziende, università e studenti. La questione, però, è realizzare iniziative in grado di selezionare e valorizzare prospettive di talenti. Progetti come quello presentato hanno una funzione più a breve termine in cui cerchiamo di incrociare dei talenti nei gruppi di ragazzi che incontriamo, mentre per una prospettiva più a lungo termine stiamo costruendo un percorso più strutturato con gli atenei.
Le professioni del biomedicale: c’è un problema di mismatching e quindi di orientamento scolastico e universitario alle professioni del settore?
Sì, assolutamente sì. Il nostro settore non si riduce alle professionalità legate prevalentemente all’ambito ricerca e sviluppo. Ci sono diversi profili e diverse professionalità. Come accennato anche prima, molti ragazzi hanno una percezione limitata e limitante degli sbocchi professionali nel biomedicale. Tra queste professioni, una di quelle significative e con ottime prospettive di occupazione e carriera riguarda gli specialisti di prodotto, che non sono dei venditori, ma sono coloro che conoscono dalla A alla Z prodotti molti complessi. Ci sono poi le figure tecniche che svolgono mansioni di assistenza su apparecchiature elettromedicali, anche qui, molto sofisticate e che richiedono un personale altamente specializzato. Queste professioni offrono prospettive di carriera interna di primo piano. Tanti nostri manager affermati sono partiti proprio come product specialist o come assistenti tecnici. Può essere una fondamentale porta d’accesso verso sbocchi professionali e di carriera elevati.
Quali sono i piani di formazione interna e quante risorse (anche contrattuali) vengono dedicate dall’azienda alla formazione dei propri dipendenti non solo nella fase di ingresso, ma in ottica anche di talent management e valorizzazione dei talenti?
Dal punto di vista delle risorse noi accediamo al fondo interprofessionale per la formazione continua del nostro settore industriale, ossia Fondimpresa. In aggiunta a questi fondi di natura contrattuale investiamo nostre risorse specifiche. In particolare, devo dire che il fondo di natura contrattuale funziona molto bene e tramite Fondimpresa, particolarmente utile anche in periodi di crisi, abbiamo finanziato molte iniziative positive. Quindi, da questo punto di vista investiamo valorizzando tutte le possibilità di finanziamento a cui possiamo accedere, sia esterne che interne.
Qual è il punto di vista dell’azienda sulle potenzialità dei contratti di lavoro che dovrebbero favorire l’apprendimento sul campo, anche per professioni avanzate, come l’apprendistato nelle sue tre espressioni, e il tirocinio formativo?
Crediamo molto nella formazione sul campo, On The Job, e di conseguenza cerchiamo di utilizzare tutti gli strumenti utili allo scopo, compresi gli istituti contrattuali che hanno questa connotazione come l’apprendistato e i tirocini formativi. Dall’inizio del 2014 ad oggi abbiamo inserito 18 nuovi apprendisti. Si tratta di uno strumento nel quale abbiamo sempre creduto a prescindere dagli andamenti ciclici dell’azienda: ci permette di inserire in azienda le nuove generazioni di professionisti e di bilanciare così, in termini anagrafici, i nostri organigrammi. Per noi il capitale “giovani” rappresenta una risorsa e un vantaggio competitivo se adeguatamente utilizzato.