Quella che Marialisa Staglianò racconta nell’intervista è una bella storia professionale al femminile che può essere d’ispirazione per le giovani studentesse che vogliono avvicinarsi alle lauree STEM e un chiaro segnale della necessità di un cambiamento culturale.
31 anni, laurea in Ingegneria e PhD all’Università di Pisa, Marialisa Staglianò ha dovuto combattere per parecchio tempo contro gli stereotipi di genere prima di riuscire ad affermarsi professionalmente come ingegnere. Le aziende a cui si rivolgeva per un colloquio provavano sempre a reindirizzarla su aree considerate più “femminili”, come il marketing o le vendite perciò Marialisa ha passato quasi un anno, cercando un lavoro in linea con le sue competenze e aspettative professionali. Un percorso ad ostacoli perseguito con determinazione e costanza fino a che il suo obiettivo si è concretizzato quando nel 2018 è riuscita ad essere assunta come Field Service Engineer da GE Healthcare, dove lavora tuttora.
Una laurea in Ingegneria e PhD ed il sogno di lavorare come ingegnere. Qual è stato il suo percorso di affermazione in uno di quei settori che purtroppo viene ancora considerato tipicamente maschile? Sono sempre stata affascinata fin da piccola dalle attività pratiche: mi ricordo infatti che durante la scuola primaria, ma ancor più durante quella secondaria di primo grado, le ore in laboratorio tecnico-scientifico erano in assoluto le mie preferite. In famiglia poi questa mia predilezione per le attività pratiche si sviluppava ancor di più, sia con i miei nonni materni, (con i quali imparavo a costruire piccoli mobili in miniatura di legno per le bambole, ma anche a cucire e lavare i vestiti per le stesse), che con i miei genitori, specialmente con mio padre, con il quale passavo ore a smontare e rimontare apparecchi elettronici e PC in garage. Crescendo i miei interessi si concentrarono su tematiche tecnologiche ma anche su quelle di tipo biologico, quindi quando scoprii l’esistenza di una facoltà (Ingegneria biomedica) che le univa devo dire che fui molto contenta. Gli anni universitari presso l’Università di Pisa sono stati i più stimolanti dal punto di vista formativo. I numerosi e vari progetti e la tesi all’estero presso la Yale University, mi hanno permesso di sviluppare al meglio le mie capacità nonostante devo dire ripensandoci adesso, siano stati anni duri e “faticosi”. Poco dopo la laurea magistrale iniziai il percorso di dottorato presso lo stesso dipartimento. Durante questi anni ho potuto continuare a sviluppare le mie attitudini lavorando nei laboratori universitari ma anche di collaborare attraverso un’ulteriore esperienza estera, con gruppi di ricerca a livello internazionale dai quali ho imparato moltissimo sia in termini professionali che culturali. Quando mi avvicinai alla fine del periodo del dottorato decisi di iniziare a cercare un’occupazione nel mondo lavorativo e lì mi scontrai con la realtà nella quale una donna “non era adatta” per certe tipologie di mansioni. Adesso quel tempo mi appare lontano perché ho avuto la fortuna di essere assunta come FSE (Field Service Engineer) in una azienda come GE Healthcare dove questi concetti non esistono e dove ho incontrato solamente persone che hanno creduto e credono in me ogni giorno. In particolare devo ringraziare davvero molto tutti i miei colleghi FSE perché fin dal primo giorno non mi hanno mai trattato in maniera differente perché donna e nel mio lavoro quotidiano sinceramente non percepisco la presenza di una differenza di genere. A volte presso i siti dei clienti dove ci rechiamo per manutenere ed installare apparecchiature biomediche, vengo accolta da un iniziale stupore nel vedere che sono una donna ma, quasi subito lo stupore diventa apprezzamento non solo verso di me ma anche per l’azienda stessa.
In che modo dovrebbero intervenire le istituzioni per promuovere un maggior impiego delle donne negli ambiti scientifici? Forse si potrebbero inserire nei percorsi formativi, fin dal primo grado di scuola, dei laboratori tecnico creativi basati sull’uso delle nuove tecnologie informatiche ed elettroniche quali ad esempio Arduino, con il quale si possono realizzare piccoli progetti divertendosi. Inoltre forse le istituzioni potrebbero incentivare le imprese ma anche i settori pubblici ad assumere le donne in ambiti tecnico-scientifici con iniziative specifiche di supporto. Oppure potrebbero essere organizzate delle giornate, nelle quali le aziende possano recarsi presso le università o gli istituti tecnici specifici alla ricerca di nuovi talenti.
Oggi può godersi la sua ‘vittoria’ e fare finalmente ciò che le piace ma soprattutto ciò per cui si era formata. Quali sono i prossimi obiettivi che si pone di realizzare in futuro? Attualmente mi sto concentrando ad accrescere le mie conoscenze tecniche sulle apparecchiature biomedicali di cui mi occupo, ma anche di approfondire alcuni aspetti per me nuovi come ad esempio le tematiche finanziarie. Non ho degli obiettivi specifici da realizzare in futuro, se li intendiamo come “obiettivi di vita” sotto forma di lista. Il mio unico obiettivo è quello di non fermarmi mai nel processo formativo e di non smettere mai di meravigliarmi di quello che accade attorno a me. Mi sto rendendo conto che è un mio comportamento quasi inconscio: appena raggiungo un obiettivo, spesso di piccola entità, passo subito al prossimo in un processo direi quasi ciclico. Sono una persona estremamente curiosa, determinata e attiva, che ama le sfide e le nuove esperienze da cui nel bene e nel male si impara sempre. Questo mio approccio lo applico sia in ambito privato che lavorativo e devo dire che nell’azienda per cui lavoro (GE Healthcare) questo è possibile; loro hanno creduto in me fin dal primo giorno e continuano a farlo includendomi in progetti o nuove sfide continuamente.
Dal suo punto di vista, la strada da percorrere per il superamento dei pregiudizi di genere, soprattutto negli ambiti professionale ed occupazionale, si sta accorciando o vi è molto ancora da lavorare? Devo ammettere che negli ultimi anni ho iniziato a vedere un miglioramento in questo ambito, soprattutto nelle grandi aziende come la mia in termini di iniziative e progetti volti a superare i pregiudizi di genere. Ad esempio io decisi di candidarmi sul portale di GE Careers dopo aver letto di una iniziativa “STEM gender gap by 2020” pubblicata sui social media da GE nel 2017. Leggendo di quella iniziativa trovai il coraggio di superare l’idea sbagliata che mi limitava fortemente in quel periodo: “non assumeranno mai una donna per quel ruolo tecnico”.
Tuttavia devo dire che c’è ancora molto da fare non solo a livello professionale ma forse ancor più a livello culturale. Molte volte sia durante il lavoro che nel mio privato, mi sento domandare “Ma come mai fai un lavoro da uomo?”. Mi soffermo sempre a parlare con queste persone per cercare di fargli “superare” questo pregiudizio, ma a volte non è facile. Ecco perché secondo me dovremmo iniziare dalla scuola primaria a lavorare su questi concetti. Infine troppo spesso ancora oggi, leggiamo testimonianze di ragazze e donne alle quali nei colloqui di lavoro le domande invece di concentrarsi su capacità e interessi professionali, finiscono per essere domande sulle volontà o meno di sposarsi e di avere figli; o ancor peggio di donne licenziate perché rimaste incinte. Ogni volta che leggo notizie di questo genere devo dire che mi rattristano molto, ma mi fanno anche rendere conto di quanto io sia fortunata a lavorare in una azienda dove tutto questo non accade e dove i miei colleghi non mi trattano diversamente perché sono una donna.
Ad oggi, se dovesse dare un consiglio ad una giovane donna che vuole intraprendere un percorso simile al tuo, cosa le direbbe? La incoraggerei ad esprimere le sue potenzialità tecniche e professionali con coraggio, dedizione e positività. Le consiglierei sostanzialmente tre cose. La prima quella di circondarsi di persone che credano in lei nelle quali trovare forza e coraggio nei momenti più difficili, come per me sono stati, sono e saranno sempre i miei genitori e mio marito. La seconda è quella di cercare di trovare aspetti positivi in tutti gli eventi che la riguardano: secondo me infatti si impara molto di più dagli insuccessi che dai successi sia in ambito lavorativo che privato. So che queste parole possono sembrare frasi fatte, ma di fatto rispecchiano il modo con cui io affronto gli eventi giorno dopo giorno. Infine la terza, che è forse la più importante, le consiglierei di essere coraggiosa e di “buttarsi” e provare nuove esperienze. Ho notato infatti che molto spesso nelle persone la paura di sbagliare o ancora peggio di fallire impedisce anche il primo tentativo. Molte volte mi hanno chiesto dove trovai il coraggio di partire per gli Stati Uniti senza saper parlare correttamente la lingua inglese. Beh, quando decisi di partire, mi resi conto che sarebbe stata una difficoltà non di poco conto ma non pensai mai nemmeno per un secondo che la lingua sarebbe stata un qualcosa che mi avrebbe fermata. Anzi, grazie a quella esperienza, sarei potuta migliorare non solo in ambito professionale (partivo infatti per sviluppare la mia tesi magistrale in Ingegneria Biomedica) ma anche in questo altro aspetto che si è rivelato poi essere molto importante nella vita lavorativa attuale. Perché lavorando in una azienda multinazionale come la mia si è sempre in contatto con colleghi di altri paesi con i quali ci si confronta e si collabora.