Uno dei temi irrisolti del nostro mercato del lavoro è la flessibilità e il precariato. Ci sono centinaia di miglia di persone che lavorano senza garanzie o con contratti di lavoro “illeciti”. Dovremmo distinguere, tuttavia, tra flessibilità buona e flessibilità cattiva. La prima avviene con contratti legittimi e con garanzie, anche se è necessario potenziare i sistemi di tutela verso questi lavoratori. La seconda, spesso, avviene attraverso un uso improprio dei contratti del lavoro autonomo che mascherano, di fatto, rapporti di lavoro dipendente. Entrambe queste situazioni necessitano di risposte specifiche. Facciamo il punto con Ivan Guizzardi, segretario generale della Felsa, la categoria del lavoro flessibile e autonomo della Cisl.
Nella Legge di stabilità appena licenziata dal Parlamento, tra le principali novità per il lavoro autonomo, c’è il blocco per il 2014 dell’aumento dell’aliquota pensionistica per le partite Iva al 27%. Una misura che riguarderebbe 3 milioni di professionisti non iscritti a nessun Albo. La riforma Fornero, prevede che entro il 2018, anche le partite Iva pagheranno una contribuzione del 33%. Questi professionisti, tuttavia, non hanno nessuna forma di tutela sociale. E’ pensabile una riforma degli ammortizzatori sociali che li includa e se sì, con quali risorse aggiuntive?
Parto da una considerazione. A prescindere dagli istituti contrattuali, ossia quelli del lavoro autonomo oppure del lavoro dipendente, non c’è una nostra contrarietà di principio ad una riforma degli ammortizzatori sociali che tuteli tutte le forme del lavoro. La questione di fondo che poniamo, tuttavia, è questa: per poter costruire un sistema di protezione sociale più o meno paritetico tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, il costo del lavoro deve essere uguale per entrambe le condizioni contrattuali. Per far un esempio, il contributo pensionistico del lavoro dipendente è del 33% mentre quello delle partite Iva è, attualmente al 27%. In questo senso, va nella direzione da noi auspicata la riforma Fornero che nei prossimi anni, attraverso un meccanismo graduale porterà anche per le partite Iva l’aliquota previdenziale al 33%. Stessa cosa dovrebbe avvenire anche per altre aliquote che servirebbero a finanziare l’indennità di disoccupazione e un sistema di protezione inclusivo anche per il lavoro autonomo. In qualche misura anche le prime forme di sostegno al reddito per i lavoratori a progetto introdotte dall’ex-ministro del lavoro Sacconi, vanno in questa direzione. Il meccanismo di contribuzione sociale delle partite Iva, inoltre, dovrebbe seguire lo stesso schema dei contratti a progetto: 2/3 versato dalle aziende e 1/3 versato dal lavoratore.
Rimanendo ai provvedimenti della Legge di stabilità, c’è la cosiddetta sanatoria per l’abuso dei contratti di associazione in partecipazione. Si tratta della possibilità di condonare alle aziende che trasformano “finte” associazioni in partecipazione in contratti da dipendente, il pagamento dei contributi pregressi, usufruendo anche degli incentivi per le nuove assunzioni. E’ questa la strada per uscire dall’abuso dei contratti atipici? Vedi anche gli accordi simili nel settore dei call center, oppure l’accordo IFOA che prevede la trasformazione dei contratti a progetto in essere in contratti a tempo indeterminato attraverso i contratti di solidarietà espansivi e l’utilizzo del bonus nuove assunzioni.
Sui contratti di associazione in partecipazione siamo di fronte una situazione davvero estrema. Qui, in molti casi ci troviamo di fronte abusi intollerabili. Ben vanga questa norma che punta ad un emersione e ad una regolarizzazione dei finti contratti di associazione in partecipazione che nascondo vere e proprio rapporti di lavoro da dipendente. Va benissimo l’incentivo di natura economica anche perché, moliti si ricorre a queste formule contrattuali soprattutto nelle piccole impresa per abbattere i costi del lavoro. Non è pensabile, oggettivamente, che una commessa di un negozio venga inquadrata con un contratto di questo tipo. Questa formula contrattuale andrebbe molto limita e circoscritta. Diversa, la situazioni di applicazione reale che riguarda ambiti del lavoro autonomo e delle libere professioni, per le quali l’istituto contrattuale è giusto che rimanga.
C’è molta attesa intorno al Job Act annunciato da Matteo Renzi. Ha fatto scalpore, tuttavia, una certa disponibilità al dialogo del leader della Fiom Landini, il quale in cambio di una attenuazione dell’art. 18 chiede l’abolizione dei contratti “precari”, tra cui il contratto a progetto e quelli in somministrazione. Qual è la tua posizione?
Quella di Landini è una lettura parziale, ideologica e irreale del mercato del lavoro italiano. Partiamo da una constatazione ovvia: il mondo del lavoro è fatto da lavoratori dipendenti, che sono circa 17 milioni, e lavoratori autonomi, circa 5 milioni. Queste tipologie di lavoro hanno modalità di condizioni lavorative profondamente diverse. E’ fuori dal mondo abolire i contratti a progetto o le partite Iva, per intenderci, che sono le forme contrattuali tipiche del lavoro autonomo. Altra questione, invece, è la richiesta di flessibilità che viene dalle imprese per i rapporti di lavoro da dipendente. In questo caso esistono forme contrattuali lecite e con tutte le tutele del caso, come i contratti a termine e quelli in somministrazione. Quest’ultimo, in particolare, ha forme di tutela anche superiori rispetto ai rapporti di lavoro da dipendente di tipo tradizionale. Il vero problema, invece, riguarda l’utilizzo abusivo che alcune aziende fanno dei contratti di lavoro autonomo che mascherano, nella sostanza, rapporti di lavoro da dipendente. In questo caso bisogna intervenire con tutti gli strumenti possibili per contrastare il fenomeno ma con senso della realtà: non si può pensare di debellare una malattia eliminando il paziente!
Per ciò che riguarda la proposta di Renzi sul nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti le valutazioni sono due. Se questo è un contratto sostitutivo di tutti gli altri già esistenti, di fatto, sarebbe un peggioramento della condizione attuale perché estenderebbe a tutti una condizione di forte flessibilità, anche nelle situazioni non richieste. Mi pare molto improbabile questa ipotesi. E’ molto più probabile, invece, che il contratto di Renzi, si aggiunga agli altri. In questo caso, però, sarebbe del tutto inutile perché la flessibilità proposta con questo nuovo contratto, di fatto, è già possibile ottenerla con i contratti a termine, i contratti in somministrazione e quello in apprendistato. Più convincete la parte in cui si parla di una nuova politica industriale per rilanciare i settori produttivi strategici e agevolare, così, la creazione di nuova occupazione. Il mio giudizio, ovviamente, per adesso è solo sulle anticipazioni. Per una valutazione complessiva attendiamo il piano vero e proprio.
La riforma Fornero ha introdotto alcune misure per contrastare le finte partite Iva e definito ulteriormente le condizione per stipulare un contratto a progetto. Dopo un anno, che tipo di bilancio si può fare su queste norme?
Le misure introdotte dalla Fornero prevedono un ruolo molto attivo dell’ispettorato del lavoro e, proprio per questo, sono molto scettico che si possa arrivare ad un ridimensionamento del fenomeno. Per noi la strada per contrastare le finte partite Iva è fare in modo che tutte le forme contrattuali del lavoro autonomo abbiano lo stesso costo e che non si inneschi una sorta di dumping contrattuale, che mette nelle condizioni le aziende di scegliere il contratto più conveniente e meno oneroso. La strada è quella degli accordi sindacali attraverso i quali è possibile mediare le ragioni dell’impresa e quelle dei lavoratori e giungere a effettivi miglioramenti della condizione contrattuali, come già avvenuto nel settore dei call center proprio in applicazione della Legge Biagi e in cui è stato possibile regolarizzare molte situazioni illecite dando garanzie ai lavoratori.
Hai parlato di Legge Biagi. Nel dibattito politico intorno al lavoro è tornata di moda la richiesta di abolizione della Legge che porta il nome del giuslavorista assassinato dalle Nuove Brigate Rosse, come se questa fosse la causa della precarietà e se basterebbe cancellare questa legge per garantire il posto sicuro a tutti. Che ne pensi?
La legge Biagi non ha creato la precarietà e chi dice questo sbaglia profondamente. Quando è stata approvata questa normativa, già esisteva una realtà lavorativa precaria. Cera un’esplosione dei cosiddetti co.co.co, previsti dal Codice Civile e che venivano usati in rapporti di lavoro tipicamente dipendenti. La legge Biagi è intervenuta per limitare l’utilizzo dei co.co.co, introducendo il contratto a progetto quale forma contrattuale tipica del lavoro autonomo. La riforma Fornero, inoltre, nel solco della Biagi ha ulteriormente limitato il ricorso al contratto a progetto introducendo limitazioni aggiuntive e previsto l’estensione della mini-Aspi, (la vecchia indennità di disoccupazione con i requisiti ridotti) anche ai contratti a progetto e di collaborazione. Semmai, la Biagi va completata attraverso la riforma dello Statuto del lavoratore estendendolo a tutti i lavori e attraverso un potenziamento delle politiche attive del lavoro. Chi stabilisce una correlazione tra legge Biagi e precarietà fa una lettura ideologica della realtà.